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In libreria

 

L'illustrazione del libro nell'Antichità
di Kurt Weitzmann, traduzione e cura di Massimo Bernabò, Spoleto,
Fondazione Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo (Medioevo - Traduzioni, 5), 2004,
17 x 24 cm, pp. 157, 156 illus., euro 25,00

di Maria Alessandra Bilotta

La pubblicazione di "Ancient Book Illumination" di Kurt Weitzmann, nella traduzione italiana di Massimo Bernabò, giunge quanto mai opportuna in un momento nel quale il tema della tradizione classica nella miniatura europea torna ad essere oggetto di grande attenzione da parte degli storici della miniatura non solo italiani. Quest'opera di Weitzmann, del 1956, da considerare ormai un classico, edita in italiano dalla Fondazione Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo di Spoleto in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita dell'insigne studioso, rappresenta ancora oggi l'unico tentativo di trattazione complessiva dell'illustrazione libraria nel mondo antico e per tale ragione rimane uno strumento metodologico esemplare ed un punto di partenza imprescindibile per chiunque voglia occuparsi dell'illustrazione nei rotoli e nei codici. Grazie anche alla formazione dell'autore, formazione di matrice classicista, che affonda le sue radici nell'archeologia e nella filologia germanica di fine Ottocento, Weitzmann ha affrontato lo studio dell'illustrazione dei testi antichi partendo da una sorta di rielaborazione finale di quasi un secolo di studi archeologici. Lo studioso italiano ha quindi l'occasione, attraverso la lettura del testo di Weitzmann, di prendere familiarità con una realtà, quella della storia dell'illustrazione libraria nel mondo antico, non ancora completamente indagata e dunque sfuggente in assenza una guida organica e metodologicamente esemplare.
Il volume si compone di quattro capitoli, ognuno dei quali riproduce il testo di una delle quattro conferenze che lo studioso tedesco tenne nell'autunno del 1956 per la serie delle Charles Beebe Martin Classical Lectures, su invito dello Oberlin College in Ohio. L'opera si apre con una serrata analisi delle problematiche riguardanti la ricostruzione dell'illustrazione dei trattati scientifici e didattici nell'antichità. Seguono poi ampie trattazioni sui testi di poesia epica, in particolare l'Iliade e l'Odissea, sulla poesia drammatica ed infine sui testi vari in prosa. L'autore si è concentrato, dunque, su quelle categorie di testi che devono aver rivestito una maggiore importanza nell'antichità classica e, per tale ragione, apparivano più documentate. Il quadro che ne risulta, relativo ad un aspetto del mondo antico, quello dell'illustrazione dei libri, era rimasto a lungo trascurato per la quasi totale assenza di materia prima; proprio attraverso lo studio dell'illustrazione dei testi classici, tuttavia, è possibile ritrovare le radici dell'illustrazione del libro cristiano e in particolare dell'illustrazione della Bibbia.
Una delle linee di ricerca maggiormente caratterizzanti l'opera è fondata su un attento esame delle fonti figurative al fine di ricostruire i testi perduti, per ripercorrere una storia dell'illustrazione del libro nell'antichità. L'autore, con ricchezza di documentazione, ipotizza che le raffigurazioni di mitologia ellenistica su coppe d'argento della Battriana e sui manoscritti, tessuti e avori bizantini siano la manifestazione di una vasta tradizione, in larga parte perduta, di illustrazione antica di manoscritti e potrebbero, perciò, essere riconsiderate per ricostruire un aspetto altrimenti sconosciuto dell'arte classica. Weitzmann comprese, tra l'altro, che alla base dello sviluppo e dell'affermazione della prima arte biblica c'era anche l'appropriazione di forme antiche di illustrazione del libro: l'arte biblica, dunque, secondo lo studioso, adattò al suo scopo tecniche classiche preesistenti. La ricerca si fa poi estremamente articolata nel cercare di comprendere ogni opera all'interno del suo proprio contesto e in quale misura fossero stati ornati di illustrazioni i diversi ambiti della letteratura antica. Tutte queste costituiscono solo ad una piccola parte delle problematiche affrontate da Weitzmann in "Ancient Book Illumination", un'opera che, a più di quarant'anni dalla sua prima pubblicazione, non è ancora stata seguita da altre simili e profila ancora degli itinerari di ricerca affascinanti e ulteriormente percorribili. La traduzione di una tale opera, pertanto, dà un valido contributo ad un approfondimento e ad un progresso nello studio italiano dell'illustrazione libraria antica e medievale.


La sirène dans la pensée et dans l'art de l'Antiquité et du Moyen Age

di Jacqueline Leclercq-Marx
Bruxelles, Académie royale de Belgique (Mémoires de la classe des beaux-Arts in- 4º, 3e série), 2002²
23 x 29 cm, pp. 373, 337 ill., euro 52, 6

di Maria Alessandra Bilotta

L'iconografia delle sirene è costantemente presente nell'arte pagana e nell'arte cristiana medievale fino al XII secolo. Nel tempo, tuttavia, le rappresentazioni di queste figure fantastiche si sono diversificate, per esempio col passaggio dalle sirene-uccelli alle sirene-pesci, ed hanno risentito profondamente delle mentalità e dell'immaginario collettivo espresso nei testi letterari. Da questa considerazione inizia l'analisi di Jacqueline Leclercq-Marx che affronta in primo luogo il difficile problema dell'origine del tema iconografico e l'evoluzione dello stereotipo della sirena cominciando dalle prime apparizioni in opere d'arte provenienti dal mondo classico, greco e romano. Con sicuro metodo si procede poi alla valutazione di cosa la figura della sirena medievale abbia ereditato dall'immaginario antico, in particolare greco e giudaico.
L'analisi viene condotta seguendo un approccio multidisciplinare che mette a confronto fonti di diversa origine attraverso le quali è possibile rendersi conto della varietà e della portata dei numerosi significati sottesi all'immagine della sirena. La particolare visione antropologica del simbolo costituisce un altro elemento caratterizzante di questo avvincente studio; una visione che permette di comprendere nella sua totalità il significato più intimo di un tema figurativo così ricco di allusioni. Come osserva la studiosa, il recupero da parte del cristianesimo di un tema così profondamente pagano come quello della sirena testimonia la vivacità del passaggio di valori culturali dall'Antichità al Medioevo, un passaggio avvenuto con modalità particolari, come l'uso dell'allegoria, e attraverso gli scritti dei Padri della Chiesa e la letteratura didattica dei monaci e dei chierici. Da questa accurata analisi si evince che il mondo classico ed il mondo medievale presentano una unità di vedute per ciò che concerne i mezzi di rappresentazione del Male e del Vizio ed il rapporto di queste due categorie con il genere femminile; le sirene assumono dunque nell'immaginario della classe colta medievale, per la maggior parte maschile e non coniugata, una connotazione negativa legata all'associazione di questa figura mitica con la sessualità e con la donna. E' quanto accade soprattutto nel XII secolo quando la critica della donna diventa un 'topos'. In questo caso, la sirena è allo stesso tempo supporto simbolico e forma emblematica; i segni di una femminilità vissuta come mostruosa e animalesca sono tracciati nel corpo di questo essere fantastico, deforme e ambiguo.
Tuttavia, sottolinea la studiosa, ciò non deve portare a credere che ogni rappresentazione medievale della sirena, sia essa uccello o pesce, debba essere oggetto di una rappresentazione simbolica; al contrario, la maggior parte di esse hanno un carattere esclusivamente decorativo e dunque devono essere studiate in rapporto alla dialettica ornamentale antica e medioevale. Questa ricerca, complessa ed appassionante, condotta con una sapiente metodologia che tiene conto delle enormi potenzialità che si sviluppano da uno studio multidisciplinare, si arricchisce ulteriormente grazie ad un superbo apparato iconografico (più di trecento immagini) che permette di comprendere le diverse iconografie della sirena nel corso dei secoli. Un percorso dunque, quello tracciato da Jacqueline Leclercq-Marx, che conduce il lettore alla scoperta di un tema iconografico di grande fascino e che permette di comprendere appieno, nel quadro di una storia globale, la straordinaria potenza creatrice di queste figure fantastiche, al confine tra mito, magia e religione.

La Factory a luci rosse
Mary Woronov, Tutto quello che avreste voluto sapere sulla Factory di Andy Warhol


Mary Woronov

di Anna Maria Monteverdi

Si scrive Meridianozero e si legge "la migliore realtà editoriale degli ultimi anni in Italia". Coraggiosa e in fuga, Meridianozero di Padova non ha fatto solo incetta di straordinari autori noir consegnandoli al mercato italiano con una grafica elegante e d'impatto; ha anche pubblicato due volumi immancabili per chi ama l'atmosfera underground degli anni Sessanta a New York, Warhol e i Velvet di Lou Reed. Uno è l'edizione italiana di quel capolavoro che è "Popism, Warhol's 60s", l'autobiografia di Warhol scritta con Pete Hackett. Il libro parla dell'attività cinematografica della factory e della quotidianità con artisti come Bob Dylan, Rudolf Nurajev, Norman Mailer, Jimi Hendrix, Tim Buckley, La Monte Young, Bob Rauschenberg, Jim Dine e termina con il ricordo della morte per overdose dell'attrice Edie Segdwick e con il sintetico messaggio in un "post" con cui il fotografo Bill Name annuncia l'abbandono della Factory. Molte cose cominciano a cambiare già dal 1969. Hollywood si interessa ai lavori di Warhol; la Columbia picture gli chiede di girare film in 35 millimetri. La Factory viene disertata. Paul Morrisey inizia le riprese di "Trash" e "Urban Cowboy" con un cast che viene così descritto nelle ultime righe del libro: "Il cast era un nuovo, più giovane gruppo di ragazzi postpop, come Jane Forth, sedici anni. Tutta la moralità e le retsrizioni contro le quali le prime superstar della Factory avevano combattuto erano così lontane e irreali come può sembrare oggi l'epoca vittoriana. Il pop non era un argomento per questa nuova ondata: era tutto quello che non avrebbero mai conosciuto".
L'altro libro edito da Meridianozero è "Swimming Underground (My years in the Warhol Factory)" tradotto "Tutto quello che avreste voluto sapere sulla Factory di Andy Warhol e non avreste mai osato chiedere" di Mary Woronov, attrice, scrittrice e giornalista. Il libro racconta "l'altra faccia della Factory" descritta proprio dall'attrice di alcuni storici film di Warhol ("Chelsea girl", "Four stars") nonché protagonista del famoso "Exploding Plastic Inevitable" e tra le presenze (minori) femminili della Factory dove spiccavano Viva, Ultraviolet, Ingrid Superstar, International Velvet. Una carrellata che mette in chiara luce gli aspetti violenti, sadici e impudici della vita della Factory intorno al 1966, prima dell'attentato a Warhol da parte di Valerie Solanas ma che ne accentuano se possibile, il mito. Il libro racconta l'iniziazione di Mary, icona androgina, alla Factory: alta, magrissima, pantaloni di pelle nera aderenti e che si esibiva in coppia con Gerard Malanga in numeri sadomaso tra luci stroboscopiche mentre i Velvet Underground suonavano "Venus in Furs" o "Heroin". Tra lesbiche, travestiti, trasgressioni sessuali di ogni tipo, anfetaminie, "speed" e acidi che portarono anche alla morte alcuni loro amici, spiccano primi piani di Ondine (il Papa in "Chelsea girl") che si infila un ago pieno di eroina in un occhio, la Duchessa che registra le sue telefonate con Warhol, Bill Name il fotografo che si fa murare vivo dentro una stanza della Factory, Lou Reed che racconta dei guaritori filippini, Nico perennemente in posa. Tutto intorno gli avventori della Factory descritti come "ragazzotti apatici che ciondolavano aspettando qualsiasi cosa" seduti su divani argentei macchiati costantemente di sperma, consumando droghe o sesso in occasione dei vari party. Personaggi ritratti nel libro come una corte dei miracoli, "parassiti o tappezzeria" - come afferma causticamente la Woronov - che si muovevano in branco in taxi dal Dom nell'East Village al Max's Kansas City. La Factory era il luogo dove Warhol con gli "screen test" faceva guardare per un quarto d'ora nella cinepresa regalando il sogno dell'immortalità a sconosciuti. Ma dentro la Factory fecero fugaci apparizioni anche Salvador Dalì, Tennessee Williams e Allen Ginsberg. Più che un racconto della Factory, il libro è un andare e venire della memoria di Mary, prima bambina maschiaccio al mare che vuole emulare i cugini nuotando al largo, poi ragazzina violenta che al college picchiava le compagne; dopo ancora, sverginata da un cameriere, in viaggio alla conquista della "swimming" New York convinta da Gerard Malanga suo pigmalione, contro il volere della borghesissima famiglia; insegue poi il suo impossibile sogno d'amore con Ondine, in seguito scritturati entrambi per film underground e per piéces di teatro sperimentale (per la regia di John Vaccaro); caustica nel raccontare le abitudini sessuali, l'abuso di droghe e le trasgressioni di uomini e donne della Factory (a cominciare da lei stessa) che speravano di entrare nelle grazie di "Drella" e ottenere una scrittura da Hollywood, Mary ne ha per tutti, primo fra tutti proprio Lui: "Andy diceva le cose più insulse; la gente ci impazziva sopra, si sentiva in dovere di leggerci i significati più reconditi, ma per noi era un'altra storia. Andy non solo era dislessico ma le parole lo mettevano a disagio"; "Quella notte Andy era impegnato a disegnare nasi, prima e dopo la chirurgia plastica. Quando mi chiese se mi piacevano, non risposi. A che pro? Tanto sapevo che quello stupido disegno sarebbe stato serigrafato da qualche parte e venduto a carissimo prezzo mentre a me veniva da staccarmelo il naso, quando pensavo ai miei rabbiosi disegni in bianco e nero".
Ma le donne della Factory sono tra le sue mire preferite: "Mentre Velvet finiva la sua bottiglia di vodka, un po' troppo avidamente per una ragazza di buona famiglia, io scrutavo le altre due attrici. Ingrid Superstar si impasticcava, anche se non ne aveva bisogno, era già fuori di suo; Pepper invece era una nuova. Nessuno sapeva di che cosa si facesse, o chi l'avesse portata lì. Non sembrava messa troppo bene, una sorta di cavolo che sta andando a male, sicuramente una mina vagante".
Ma soprattutto Mary racconta con orgoglio il momento in cui il popolo notturno dagli occhiali scuri, le "talpe", l'aveva ammessa nel sacro recinto. Da cui uscì solo per entrare in una clinica per disintossicarsi; ebbe il tempo di vedere un triste Ondine mentre presentava in un college Chelsea girl raccontando alla nuova generazione, la vita della Factory. Due anni esatti prima della sua morte. Completano il libro alcune straordinarie fotografie di Bill Name.
www.meridianozero.it

Andy Warhol
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