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Cosa è e cosa potrebbe essere la Biennale di Venezia di Mattia Patti Se
ci venisse chiesto che cosa sia la Biennale di Venezia, sarebbe impossibile,
oggi, dare una semplice ed univoca risposta. Essa rimane la più
importante, sicuramente la più ampia mostra d'arte contemporanea
che si tenga in Italia. Ha tuttavia perduto definitivamente quei caratteri
che la rendevano un punto di riferimento inamovibile, obbligato, per la
critica e per gli artisti. Non si va più alla Biennale con la certezza
(e, forse, neppure con la speranza) di conoscere le più avanzate
ricerche artistiche, né con quella di incontrare il meglio della
produzione italiana. La Biennale di Venezia è stata un modello
per le grandi mostre che si sono vieppiù diffuse nel mondo, e continua
tuttora ad esserlo, anche grazie alla nuova forma che col tempo s'è
data. Ma il potere assoluto e incontrastato dei curatori la rende un organismo
informe, difficilmente inquadrabile, soprattutto in prospettiva di una
prossima, inevitabile, sua storicizzazione.
Per
quanto María de Corral in catalogo parli di "labirintico percorso"
e insieme sostenga d'aver montato una mostra che "non è storicista
né lineare", gli spazi del Padiglione Italia sono regolati
da un allestimento molto equilibrato, chiaramente ordinato in diversi
momenti, l'uno distinto dall'altro. Il percorso inizia di fronte al Padiglione
con gli inquietanti proclami adesivi di Barbara Krueger, che già
dopo una settimana dall'inaugurazione hanno iniziato a staccarsi per il
caldo, a dire il vero non insopportabile come quello del 2003. Entrando,
poi, il primo incontro è con Monica Bonvicini (unica italiana in
mostra, insieme a Francesco Vezzoli), che nella rotonda ha collocato un
martello perforatore verniciato di nero e titolato "Blind Schot",
che penzola minacciosamente sopra la testa dei visitatori. Passati questi
due primi ostacoli, si apre un corridoio dedicato al video. Le sale sono
separate da pareti sottili, con la conseguenza che le voci e i suoni di
opere contigue si sovrappongono fastidiosamente. Tra i video più
interessanti - ma sono troppi e troppo tempo si dovrebbe impiegare a fare
questi pochi, primi metri della Biennale - è forse la collana di
brevi animazioni del giovane sudafricano Robin Rhode.
A
cura di Rosa Martínez, responsabile assieme a María de Corral
di questa 51a edizione della Biennale di Venezia, la grande, estesa mostra
allestita nelle Artiglierie e nelle Corderie dell'Arsenale si presenta
come un ampio panorama dei differenti linguaggi adottati attualmente in
campo artistico. Scopo della curatrice spagnola era probabilmente quello
indicato nella presentazione in catalogo, di "inventare nuove forme
di vicinanza tra artisti, discipline e pubblico" costruendo una "temporanea
'agorà' globale". Il risultato conseguito è tuttavia
assai diverso, dal momento che al pubblico - e, perché no, anche
agli artisti - la curatrice ha offerto un panorama (sempre un po' più)
confuso di quel che è il mondo dell'arte. LE PAGELLE AD ALCUNI PADIGLIONI DELLA BIENNALE Afghanistan: una delle presenze meno strutturate e meno pubblicizzate dell'intera Biennale. Affascinanti i due video che si fronteggiano di Lida Abdul: l'Afghanistan che ha passato la tempesta e l'Afghanistan che è sopravvissuto non sono esattamente la medesima cosa. Voto: 8 Scozia: nella Scoletta di Campo S. Rocco, una mostra completa, concentrata, con artisti forse troppo diversi fra loro. Val la pena di fare la ripida rampa di scale per vedere le sculture di Alex Pollard, che è artista maturo, in odore di dada. Voto: 6 Ucraina: due piccole sale della Fondazione Levi di Palazzo Giustinian, due interventi di Mykola Babak. Nel primo spazio alcune bambole tradizionali, fatte di corda e di stoffe colorate, esposte insieme a grandi fotografie del passato di bambini ucraini; nel secondo due video, con una testimonianza 'arancione' - da telegiornale "no comment" - della recente rivoluzione di velluto. Scontato. Voto: 5 Francia: Il meraviglioso e premiato "Casinò" di Messager. Un lavoro delicato, che vibra per via di un racconto che non ha bisogno di chiudersi. Libero da qualsiasi linea d'avanguardia, ha la struttura di un gioco per gli occhi in tre tappe. Il secondo momento è il più denso, il più carico di suggestioni. Voto: 8 Gran Bretagna: Gilbert and George. Due uomini, un artista, un'opera. Fotogrammi coloratissimi di un'animazione che non si muoverà. L'allestimento, come spesso accade in questo padiglione, è di un'invidiabile unità e compattezza. Voto: 7 Australia: allucinanti oggetti (nature morte?) di legno. Da attraversare a passo svelto. Voto: 4 Germania: Tino Sehgal può rigenerare in un momento di stanchezza o di depressione. Entrare, però, dopo aver visto il padiglione australiano può provocare un pericoloso cortocircuito. Voto: 5,5 Pipilotti
Rist: "Homo sapiens sapiens", video presentato in collaborazione
con il Padiglione della Svizzera, è una delle opere più
intense ed avvolgenti dell'intera Biennale. Vietato dare spiegazioni,
l'importante è raggiungere la Chiesa di San Stae. Voto: 8,5 |
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J.
Vasconcelos, "A Noiva" (la sposa), Padiglione portoghese
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Madonnine agghindate. Figure devozionali vestite del territorio di Arezzo di Margherita Melani
Madonnine
agghindate. Figure devozionali vestite del territorio di Arezzo, catalogo
della mostra a cura di P. Refice V. Conticelli S. Gatta, Petruzzi Editore,
Città di Castello, 192 pp., 104 ill. a colori, € 10,00.
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