Krone
und Schleier: Kunst aus mittelalterlichen Frauenklöstern
di Giusi Zanichelli
L'esposizione
si è svolta dal 19 marzo al 3 luglio 2005 in due sedi prestigiose:
al Ruhrlandmuseum di Essen si è tenuta la prima sezione dedicata
a "Die frühen Klöster und Stifte 500-1200", mentre
la seconda, "Die Zeit der Orden 1200-1500", è stata ospitata
dalla Kunst- und Ausstellungshalle di Bonn.
Come di consueto, risulta programmatica la scelta del titolo, dato che
la corona e il velo sono alla base della simbolica medievale monastica
femminile, poiché non solo rappresentano gli strumenti rituali
per eccellenza della cerimonia iniziatica, dal momento che monacarsi significa
"prendere il velo" e diventare sposa di Cristo, cioè
ricevere la "corona di fidanzamento"; ma corona e velo sono
anche il simbolo delle somme autorità che governano il monastero,
il patrono laico che, nel caso dei grandi fondazioni dotate di imponenti
possessi patrimoniali, era una principessa della casa regnante o una nobildonna
di una delle grandi famiglie, e la badessa. Su questo sottile filo di
ambiguità si svolgono le due esposizioni, che hanno cercato, in
modo diversificato, di mostrare il sottile gioco di interrelazioni fra
i centri di potere femminile dentro e fuori il chiostro.
Nella esposizione
di Essen un sapiente gioco scenografico, talora un po' troppo accentuato,
ha voluto, con velari, luci soffuse e musica di sottofondo, ricreare le
penombre del chiostro, gli spazi separati della clausura, la reclusione
della vita monastica: in questa atmosfera la straordinaria scelta di oggetti
selezionati è stata esposta in sezioni tematiche di grande interesse.
La prima, titolata "Badessa e monastero", racchiudeva opere
della qualità dell'Evangeliario della Badessa Hitda di Colonia
del 2/4 dell'XI secolo (Darmstadt, Universitäts- und Landesbibliothek,
ms. 1640), la coeva croce donata a Santa Maria in Capitol dall'arcivescovo
Ermanno e dalla sorella Ida (Köln, Diözesanmuseum, nr. H 11)
e l'austero "Liber memorialis" di San Salvatore di Brescia (Biblioteca
Queriniana, ms. G VI 7) con l'elenco delle regali badesse che lo guidarono
durante il periodo longobardo, carolingio e ottoniano, oltre a lastre
tombali, sigilli, codici liturgici di varia provenienza.
La seconda sezione, "Clausura e regola", era costituita da codici
miniati con frontespizi rappresentanti monache in atto di ricevere la
regola da san Cesario o san Benedetto, mentre la terza, "Liturgia
e spazio ecclesiastico", presentava una straordinaria varietà
di oggetti, da lastre e piastrini di recinzione presbiteriale, a statue
lignee o marmoree, 'antependia', codici liturgici, come l'Evangeliario
di Quedlinburg (Universität- und Landesbibliothek Halle, ms. 83),
o rituali, come lo straordinario disegno di Cristo e il lebbroso nello
stile del Salterio di Utrecht, aggiunto al "Libro penitenziale"
di Essen (Domschatz, ms. 2). Seguiva poi la quarta sezione "textus
- leggere, scrivere e allestire", certamente assai problematica,
dato che le prove di effettiva attività di produzione libraria
all'interno dei cenobi femminili è assai limitata: nessun dubbio
certamente per i codici carolingi prodotti a Chelles, uno dei pochi "scriptoria"
femminili attestati, ma resta aperto il problema per codici prestigiosi
come la "Vita" di santa Radegonda (PoitiersMediathèque,
ms. 250) e soprattutto per i codici del monastero di San Salvatore a Brescia,
di cui qui si esponeva il "Commentarium in Isaiam" di San Gerolamo
in onciale (Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. A.III.14) e le "Epistolae
ad Lucilium" di Seneca (Ivi, ms. B.II.6).
Nella quinta sezione "Protettori e tesori" apparivano prestigiosi
esempi di preziosi reliquiari e codici purpurei conservati appunto nei
tesori delle abbazie: in questo gruppo apparivano, accanto a croci e cofanetti
in oro, argento, smalto, avorio o legno, preziose fiale in onice e cristallo
di rocca, altari portatili, frammenti di tessuti bizantini, legature,
insieme a manoscritti miniati, associati per la loro antichità
con i santi patroni o fondatori dei cenobi, come il Salterio di Salaberga
(Berlin, Staatsbibliothek, ms. Hamilton 553) e il "Codex Brixianus"
(Brescia, Biblioteca Queriniana). "Rappresentazione, dominio e proprietà"
racchiudeva invece la documentazione relativa ai monasteri di fondazione
signorile, in particolare quelli legati alle principesse delle dinastie
regnanti: la documentazione più importante era quella che proveniva
da Chelles, fondato tra 658/659 dalla regina Batilde, e che comprendeva
molti oggetti liturgici, come la così detta Tunica di Batilde,
la sua fibula, una ciocca dei suoi capelli, un tempo conservata in un
reliquiario, ora perduto, le scarpe liturgiche, la tunica di Bertilla
e la borsa-reliquiario di san Floro, mentre il monastero di San Sisto
di Piacenza era rappresentato dal prezioso Salterio purpureo donato dalla
fondatrice Angilberga.
La settima sezione "Nuovi orientamenti nel pieno Medioevo" intendeva
invece documentare le grandi novità dei monasteri femminili dell'XI-XII
secolo, soprattutto di quelli doppi fondati in seguito alla riforma di
Hirsau, e il cambiamento di spiritualità che vi si realizza attraverso
l'analisi dello "Speculum virginum", opera di larghissima diffusione
che affronta il problema del significato della vita monastica femminile,
ma anche delle opere di Hildegarda di Bingen, come il "Liber divinorum
operum" di Lucca (Biblioteca Statale, ms. 1942) e il "Liber
Scivias" di Heidelberg (Universitätsbibliothek, ms. Sa. IX,
16) e di Herrada di Hohenburg, di cui erano esposte le tavole dall'edizione
del 1818 del perduto "Hortus deliciarum". Accanto a questi testi,
che soprattutto documentano la grande cultura delle mistiche, erano esposti
anche altri codici provenienti dai monasteri riformati di Admont e Engelberg
che documentano il nuovo uso pedagogico che le immagini sono chiamate
a svolgere nell'educazione claustrale femminile. Infine la ottava e ultima
sezione "Sopra il progetto di vita dei monasteri femminili nel tardo
Medioevo" affronta il problema della secolarizzazione dei monasteri
femminili e della ricerca di una nuova riforma attraverso la introduzione
della clausura tra XIV e XV secolo.
Data l'ampiezza del periodo e dei problemi trattati, la mostra, che si
rivolgeva ad un vasto pubblico, tentava di concentrare l'attenzione su
alcuni problemi ben precisi, in relazione ai quali ha offerto una sintesi
chiara, presentata al visitatore attraverso concisi pannelli didascalici
distribuiti lungo il percorso e sviluppati nel catalogo dai concentrati,
ma puntuali saggi che precedono le schede relative ai singoli pezzi costruendo
il contesto storico-culturale in cui collocarli. Sia gli uni che gli altri
esemplificano il loro assunto esclusivamente sulla base dei pezzi esposti,
ma non vengono mai convenientemente spiegate le ragioni a monte di questa
scelta, che ha concentrato l'attenzione sui confini dell'Impero, senza
mai fare cenno o confronto a quanto avviene nelle aree contermini, come
quella spagnola o quella insulare. Un altro problema che avrebbe dovuto
essere in qualche modo delineato è il rapporto con la coeva committenza
maschile, soprattutto per quei monasteri doppi su cui giustamente si punta
l'attenzione nella settima sezione, dato che la programmazione della vita
religiosa e culturale dei cenobi, pur corrispondendo ad un indirizzo comune,
doveva sfociare in un uso differenziato dell'immagine.
Nonostante queste riserve, la mostra offre un panorama veramente importante
della produzione legata ai centri religiosi femminili centroeuropei e
l'alta qualità dei pezzi esposti testimonia ampiamente il ruolo
sostenuto nella compagine dell'Impero dalla religiosità femminile;
soprattutto interessanti, anche perché strutturati in sintonia
con la più recente bibliografia, le sezioni e gli interventi dedicati
alla riforma del pieno Medioevo e alla visualizzazione della visione come
espressione della religiosità femminile nel contesto della rinascita
del XII secolo. Va inoltre puntualizzato come la esposizione dei pezzi
secondo nodi problematici ne favorisce più una fruizione come documento,
che non una puntuale contestualizzazione culturale.
Nella esposizione
di Bonn invece l'organizzazione degli oggetti esposti segue un percorso
logistico che li raggruppa a seconda del luogo della loro fruizione: così
sono raggruppati nelle sezioni: "La chiesa esterna: aperta ai laici";
"La sagrestia: tesoro terreno e celeste"; "Il coro delle
monache: la chiesa interna"; "Clausura: un sistema di vita separato";
"La cella: vita quotidiana, preghiera e visione"; "Sala
del capitolo e refettorio: istruzione e intercessione"; "Ospizio
e abbazia: l'apertura sul mondo"; "L'officina: lettrici, scrittrici,
artiste". Questa esposizione, curata da Jeffrey Hamburger, tranne
per quanto concerne l'ultima sezione, raccoglie quasi esclusivamente oggetti
provenienti da monasteri germanici e punta l'attenzione, in linea con
le ricerche precedenti di questo studioso, sull'uso dell'immagine devozionale,
sulla sua drammatizzazione e sulla meditazione sulla sofferenza e sulla
penitenza fornendo una interessante, anche se monocorde, documentazione.
Se nella prima sezione non mancano riferimenti alle congregazioni laiche
e alla religiosità femminile fuori dal chiostro, il rapporto col
mondo esterno appare abbastanza problematico nelle altre sezioni, che
puntano soprattutto ad illustrare una lunga durata dell'immagine, senza
precisi riferimenti al dibattito all'esterno delle comunità religiose,
sia a quello della "Devotio Moderna" sia agli esperimenti di
vita comunitaria delle beghine. Anche in questo caso un puntuale riferimento
alla cultura dei monasteri femminili delle aree contermini, a cominciare
dall'Italia completamente assente in questa sede, sarebbe servito ad arricchire
il panorama. Proprio per la uniformità del materiale scelto, ove
i pezzi di alta qualità, come il Salterio di Wolfenbüttel
(Herzog August Bibliothek, ms. Guelf. 515) e l'Hedwig Codex (Los Angeles,
P.Getty museum, ms. Ludwig XI 7) sono più rari, questa sezione
della esposizione risulta meno stimolante per il visitatore, anche se
resterà di grande interesse la grande quantità di materiale,
finora poco noto, qui esposto.
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