Salvador
Dalì tra sogno e realtà. Deliri di forme e colori del "genio
cosmico" del Novecento
di Katiuscia
Quinci
"Ho sempre visto quello che gli altri non vedevano;
e quello che vedevano loro, io non lo vedevo."
Inauguratasi il 10 settembre 2004, la mostra celebrativa del centenario
di Salvador Dalì (1904-1989), allestita nella suggestiva cornice
di Palazzo Grassi a Venezia, ha chiuso i battenti lo scorso 16 gennaio
con un enorme successo di pubblico: più di 230mila visitatori si
sono lasciati catturare dall'affascinante universo dell'artista spagnolo,
popolato dalle angosce, dai paradossi e dalle esaltazioni proprie di qualsiasi
individuo, a cui egli è riuscito a dare le più molteplici
forme grazie alla sua straordinaria padronanza delle tecniche artistiche.
Pittore, scultore, scrittore, incisore, scenografo, regista cinematografico,
disegnatore di moda, creatore d'oggetti, Dalì ha saputo rendere
concrete le sue visioni e le sue paure, utilizzando qualsiasi media espressivo
ed è su questo punto che occorre fissare la nostra attenzione per
apprezzare a pieno la sua opera, per non smarrirsi e farsi deviare dalla
messe di parole riversata dalla critica e dal pubblico sul Dalì-personaggio
piuttosto che sul Dalì-artista. Egli è stato etichettato
come una "macchietta" scomoda, un manifesto vivente del kitsch,
spesso bistrattato dagli stessi colleghi. In questa mostra sono state,
però, le opere - ben 334, soprattutto pitture, ma anche disegni,
incisioni, oggetti "surrealisti", come il famoso Telefono-aragosta
a parlare, raccontandoci dell'artista in una discesa a ritroso nei meandri
della sua formazione, delle sue considerazioni teoriche.
L'esposizione - curata da Dawn Ades e da Montse Aguer - era, infatti,
organizzata secondo una suddivisione in aree tematiche, ma anche secondo
un ordine cronologico inverso, a partire dalla sua ultima opera (La
coda di rondine, 1983) per giungere a quelle della sua infanzia. Questa
scelta è stata motivata, oltre che da ragioni di tipo pratico -
le grandi opere della maturità (quali La stazione di Perpignan
del 1965 e il Torero allucinogeno del 1968-70) trovavano uno spazio
a loro più adatto nel primo piano nobile di Palazzo Grassi -, anche
dalla volontà di compiere una specie di decostruzione della personalità
artistica di Dalì, la cui complessità è causata da
una sorta di stratificazione di suggestioni pittoriche diverse, che egli
ha voracemente attinto da tutte le correnti artistiche moderne. I visitatori,
la cui mente è solitamente fossilizzata soltanto sull'immagine
del Dalì-surrealista, hanno potuto così scoprire, nelle
sezioni finali, anche i suoi "esperimenti" giovanili, i suoi
momenti da impressionista, divisionista, futurista e cubista.
Nelle prime sale dell'esposizione, invece, grande importanza era stata
data alla produzione post-surrealista, iniziata nel 1936 con l'espulsione
dal Movimento. In quello stesso anno la guerra civile spagnola - da lui
grottescamente evocata in due quadri angosciosi, la Costruzione molle
con fagioli bolliti - Premonizione della Guerra civile e il Cannibalismo
d'autunno (entrambi presenti), nei quali mostruose membra disarticolate
lottano l'una contro l'altra nel tentativo di divorarsi a vicenda - lo
costringe a girare per l'Europa. In Italia il pittore visita i musei di
Roma e Firenze, ricavando nuove suggestioni dai grandi maestri del passato,
in particolare da Piero della Francesca, da Perugino e da Raffaello. Con
l'esilio negli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale, e soprattutto
in seguito allo scoppio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, Dalì
si distacca quasi totalmente dall'ortodossia surrealista e affronta i
temi pregnanti dell'esistenza umana, quali la mente dell'uomo e la struttura
fisica dell'universo, i quanti e la teoria della relatività. Nella
cosiddetta fase del "misticismo atomico", le opere del pittore
spagnolo scaturiscono da un interesse spasmodico per l'atomo, in cui egli
sembra intuire l'esistenza di un Dio, e per i temi cari alla religione
cristiana. Muta anche il suo modo di dipingere: i quadri di questo periodo
sono "classicisti", ispirati all'"ideale artistico del
Rinascimento" che è rappresentato in particolare da Van Eyck,
Piero della Francesca, Raffaello, Vermeer e Velasquez. La sua pittura
diventa più luminosa, corposamente materica e i contorni sono disegnati
con nettezza; Dalì si compiace della propria bravura nel realizzare
figure geometriche e composizioni arditamente prospettiche, incendiate
da colori sgargianti e fastosi, forme sul punto di esplodere o già
esplose, come nel quadro intitolato Testa raffaellesca esplosa (1951),
dove oggetti fluttuanti nell'aria vanno a formare l'immagine della testa
di una Madonna raffaellesca, all'interno della quale si vede la
cupola cassettonata del Pantheon.
Presenza costante delle raffigurazioni di Dalì è Gala, moglie
e musa ispiratrice: è lei la protagonista indiscussa delle sue
composizioni, siano esse profane (ad esempio la Leda Atomica, 1949)
o religiose come la Madonna di Port Llgat (1950), la cui composizione
riprende quella della Pala di Brera di Piero della Francesca. In
opere come La Croce nucleare (1952) o Natura morta vivente
(1956), il pittore, pur mantenendo un ermetico simbolismo degli oggetti,
abbandona definitivamente il lessico provocatorio surrealista, basato
sulla ripetizione ossessiva d'icone (la gruccia, le formiche brulicanti,
le cavallette, le carni putrefatte) che, nella parte centrale della mostra,
spiazzavano l'osservatore e lo costringevano ad una continua ricodificazione
delle immagini. Questo processo mentale era comunque coadiuvato da un
buon apparato didascalico che, in ogni sezione, aiutava lo spettatore
a non smarrirsi nei tortuosi sentieri del mondo daliniano, di cui questa
mostra ha offerto un ampio spaccato, cercando di ricostruirlo anche a
livello scenografico con soluzioni talvolta molto suggestive ed originali,
come la reinterpretazione tridimensionale di uno dei suoi quadri presenti
- Sogno causato dal volo di un'ape attorno ad una melagrana, un secondo
prima del risveglio - realizzata nel cortile di Palazzo Grassi, nel
centro nevralgico della mostra. Infatti, come ha affermato l'ideatore
di questa composizione, l'architetto Oscar Tusquets Blanca, che cosa c'è
di più daliniano che far volare un'enorme melagrana, un pesce con
la bocca aperta e due fierissime tigri sopra gli indifesi visitatori?
Seconda
sede internazionale della rassegna: Philadelphia Museum of Art dal 16
febbraio al 10 maggio 2005 (orario di apertura: mart.-dom. 10.00-17.00;
ven. 10-20.45; chiuso il lunedì).
Il catalogo Dalì. La retrospettiva del centenario, a cura
di Dawn Ades e Montse Aguer, è edito da Bompiani.
|
|