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Incontri

Cronaca di un disamore.
Novellizzazioni e cinema senza cinema

"Il racconto del film / Narrating the film"
XII Convegno Internazionale di Studi sul Cinema
8 - 10 marzo 2005, Udine

di Marco Settimini

Perduti i primissimi interventi del primo giorno, per l'arretramento organizzativo, dovuto presumibilmente a motivi economici, la relazione La novelization du théoricien di Roger Odin (Università di Parigi III), mantenendo le attese, promette qualcosa che invece non troverà riscontri altrove. Tanto che il non-detto dovrebbe forse avere più spazio che il detto, in questo articolo, per così dire impressionista. Nella noia, inutilità e talvolta persino inconcludenza e improvvisazione rientrano alcuni contributi (?), che rivelano il generalizzato appiattimento sullo storicismo, sul particolarismo nazional-popolare - il futurismo è invadente -, archivistico e nozionistico, della riflessione (?) accademica. Questo, evidentemente, con l'oblio di tutto ciò che sia teoria-prassi del pensiero, analisi accorta e paradigmaticità. Ricordiamo, nella suddetta categoria: Novellizzazioni d'attore. Il caso "Za la Mort" di Cristina Jandelli (Università di Firenze) e "Vita futurista" e "Velocità": due film fantasma di F.T. Marinetti di Wanda Strauven (Università di Amsterdam), la disquisizione senza fondo sul rapporto tra l'avanguardia e la sceneggiatura e la novellizzazione di Viva Paci (Università di Montreal).
Odin, innanzitutto: la novellizazione del teorico rimane un territorio inesplorato nelle teorie e nelle meta-teorie del cinema, e evidentemente non può non assumere una rilevanza letteraria. L'idea del rapporto tra "testo-1" (ipotesto-film) e "testo-2" ("trascrizione" e contenutistica e plastico-formale del visibile) quale atto forte di novellizazione è tuttavia controllata in Metz, di cui si occupa Odin. Viste le intenzioni dichiarate di analista meticoloso di Metz, è certamente interessante rilevare dunque i cedimenti del Metodo, che non possono che costruire la dimensione creativa e artistica della Scienza. Infatti, è una Scienza che Metz intende fondare, e ciò nonostante, Odin svela anche la palpitazione letteraria e iconica-plastica della descrizione per certi versi impossibile di ciò che si vede sullo schermo.
E purtroppo veramente poco è stato detto sul rapporto tra dicibile e visibile, argomento chiaramente foucaultiano che non è stato affrontato di petto in questi giorni di semiologia (?) a Udine, sebbene davvero fondamentale; e questo dà da pensare. Tuttavia, assai interessante, ben esposto, e con una struttura concettuale che riesce a imporsi, è l'intervento di Elena Mosconi (Università di Milano e Brescia), Segnali d'autore nel press-book cinematografico, in cui si fa finalmente riferimento a Foucault, sebbene per la questione-Autore. E questo rientra nel quadro della semio-pragmatica del rapporto tra testo, co-testo e contesto, nella produzione del senso (senso "discorsivo": la scuola è genettiana-casettiana). Ripercorrere la serie di flash - peraltro tra i più illuminanti del convegno - è impossibile; piuttosto, è importante esplicitare le questioni essenziali.
Uno: il press-book è sovente pura arte, soprattutto allorquando è l'autore del film a intervenire in prima persona nelle scelte di grafica e testuali (Pasolini per Teorema, in cui si spiegano le scelte dei diversi attori, per esempio). Due: l'immagine-Autore si definisce al di là di ciò che l'autore realizza, con l'intertesto del film, e non solamente nel lavoro del critico. Tre: la semio-pragmatica del cinema si impone sempre più quale storiografia stratigrafica (Foucault, appunto) che assomma tanto il visibile (il film) tanto il dicibile (l'attorno, sopra e sotto il film). Insomma, la storia della esperienza dello spettatore quale "lettore-attante" - per dirla con Odin - del cinema, si fa nel "fuori" del cinema, in ciò che lo circondava, e pertanto la Storia non può che influenzare la dimensione pragmatica, che diventa dunque anche storia della pragmatica. Tuttavia, ciò che sembra perdersi è l'esperienza della soggettività spettatoriale: la pragmatica, l'empirismo (trascendentale) del film in sala. E questo si riflette in forma di lapsus per la sempre minore presenza di immagini, nelle relazioni: se ne lamentò Sorlin l'anno passato, eppure nessuno ha recepito…
Altra prospettiva, sui frammenti del "discorso amoroso" (La rappresentazione delle passioni nei cineromanzi degli anni Cinquanta), è proposta da Lucia Cardone (Università di Pisa), tra le più pertinenti dei tre giorni. La carrellata di immagini, la messa in risalto di alcuni particolari passaggi descrittivi ci dice di una differenza sostanziale e incolmabile tra cinema e pagina. Insieme, racconta uno spaccato della storia popolare e creativa - raramente sperimentale, raramente consapevole - che poco può dire sul cinema, e molto, piuttosto, sulla industria culturale e sulla trascrizione intertestuale. Latitante l'esplicitazione del quadro teorico, col soltanto minimo accenno alla questione del rapporto tra euforia e disforia, che viceversa indirizza l'approccio, palesemente greimasiano, ai trailer di Nicola Dusi (Università di Modena e Reggio Emilia), per una semiotica peculiare, focalizzata sulla figuralità nel discorsivo; il che è una ambiguità che Dusi non chiarisce.
Tutto si risolve in spunti, che non esplicano i centri focali della questione: in particolare nessuna menzione per il paradossale rapporto tra senso e non-senso, per il prevalere del regime figurale sul discorsivo (che farebbe crollare l'assunto di base di una enunciazione, forse). Eventualmente, la coerenza narrativa del film - si parlava di Mission: impossibile e La 25a ora - potrebbe essere pensata quale "discorsivizzazione" del desiderio suscitato, che lo riprende, lo blocca, lo soddisfa. Interessante, comunque la menzione del rapporto (paradossale) tra euforia e disforia nella grafica delle immagini e delle locandine, in particolare nel film di Spike Lee, ove il contrasto tra freddo e calore può esser letto quale tentativo di messa in scena proto-narrativa delle vicende, sia nel trailer sia nella "sintesi" della locandina. A seguire, ricordo l'intervento della Leonardi (italiana a Parigi III) che ci fa scoprire l'esistenza di tre novellizzazioni di I cugini di Chabrol: se ne spiegano le tematiche, se ne mostrano le copie su carta, se ne espone qualche discrepanza e non si aggiunge alcunché; tanto che la sua medesima referente (Michel Lagny) sollecita una maggiore "presa", di carattere sociologico, per esempio; ci si poteva pensar prima, evidentemente.
Chiude infine il cerchio aperto con Odin, Pierre Sorlin (Parigi III), che racconta la novellizzazione a opera di scrittori, anziché di teorici: DosPassos, Sartre e Auster, ovvero tre momenti storici assai diversi che dicono ciascuno qualcosa e sulla visione del cinema del singolo autore e delle differenti modalità di "racconto" di ciò che è l'esperienza del cinema. Nonostante si tratti di letteratura, Sorlin non manca, con coerenza (cfr. sopra), di mostrarci una sequenza di Quarto potere, ottusamente stroncata da un Sartre che, nel suo unico intervento critico pubblicato, non coglie la capacità di Welles di raccontare la temporalità. DosPassos è l'occhio del cinema che si impone in letteratura (nel "discorso libero indiretto") e che racconta il realismo del cinema classico americano. Sartre è l'invenzione del pubblico immaginario di cui avrebbe voluto essere in qualche maniera parte, in una sua diversa infanzia romanzesca. Auster è l'invenzione del regista Hector (cfr. l'ultimo Il libro delle illusioni, Einaudi) riscoperta da un professore, nel cui lavoro di ricerca e analisi si rivelerebbe, per Sorlin, una versione parodica del lavoro del ricercatore accademico.
Tuttavia, ciò che più conta, al di là della sua novellizzazione di novellizzazione, è che con Sorlin, vertiginosamente, la filosofia, l'esperienza della pellicola nella sala buia, la dimensione storiografica, la sociologia, la scrittura letteraria quale testimonianza di ciò che è stato l'occhio del Novecento, e anche la parola chiaramente ancora innamorata, quasi commossa, convergono in una descrizione che è innanzitutto amore per il cinema, e libertà, fantasia e insieme profondità di approccio. Questo, finalmente, al di là dei particolarismi imperanti e secondari, nella posizione autonoma che non si può completamente piegare alle esigenze del funzionalismo del sistema, nella posizione autonoma in cui si ritrovano passione e interesse, che non sempre parevano presenti in questi giorni a Udine, e non soltanto. Purtroppo, il sistema sembra diversamente tentare di soffiare via dai suoi ingranaggi, peraltro arrugginiti - o rinnovati secondo direttrici talvolta irragionevoli - la polvere (?) in cui si nasconde la passione di porre in questione, raccontare e insegnare, in ultima analisi di interessarsi e far interessare. E può essere che l'assenza del cinema e delle teorie, sperimentata in questi giorni, sia sintomatica; sintomatica, forse, di generazioni a rischio di risultare perdenti e generazioni a rischio di risultare perdute.


Colgo l'occasione per ringraziare per la piacevole presenza in quel di Udine, di C. M. C.