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Musei

 

Premessa

di Ettore Spalletti

Quando mi venne proposto da Giovanni Carlo Sciolla, curatore dell'importante enciclopedia Utet "L'Arte", di assumermi la responsabilità di confezionare un intero volume da dedicare ai musei nel mondo, accettai subito con entusiasmo, e subito proposi di impostare il dizionario (perché di questo si trattava) sulla storia dei musei e delle loro collezioni, giacché niente di simile era disponibile per gli studi. Raccolto un discreto, ma non troppo esteso, gruppo di collaboratori iniziammo così quella che presto si configurò come una piccola, per molti aspetti appassionante, avventura; anche perché fummo tutti d'accordo nel raccogliere informazioni, per così dire, con una rete a maglie strette, rimandando ad un momento successivo le eventuali selezioni. Assai presto il materiale raccolto - in molti casi attraverso mille difficoltà per la mancanza di informazioni bibliografiche e critiche - cominciò a configurarsi come un prezioso mosaico nel quale emergevano realtà museali spesso inattese, se non addirittura sconosciute. In questo quadro d'insieme, naturalmente, furono proprio i musei "minori" ad interessarci maggiormente, e le informazioni che mano a mano venivano acquisite prendevano forma in "schede" del massimo interesse.
Purtroppo esigenze editoriali e redazionali ci hanno costretto, con nostro vivissimo dispiacere, a ridimensionare sia il contenuto delle schede, sia il loro numero; e, naturalmente, finirono per essere tagliate proprio le schede dei musei minori; quelle schede che, invece, in me e nei miei collaboratori avevano destato grande curiosità e interesse in quanto erano soprattutto le informazioni che erano state faticosamente acquisite su di essi che, a nostro parere, erano in grado di offrire una chiave di lettura storica, e in molti casi addirittura antropologica, al panorama che si stava componendo nel volume relativamente alla diffusione territoriale delle istituzioni museali.
È per questo che molto volentieri ho sostenuto l'idea di pubblicare su "Predella" parte delle schede che non sono state pubblicate. Chi conosce già il nostro dizionario, attraverso la lettura di questo materiale inedito, potrà farsi un'idea più precisa di quello che era in nostro progetto iniziale; chi non lo conosce potrà forse proprio da queste schede essere spinto alla sua consultazione.

Richmond (VA): Virginia Museum of Fine Arts

di Cristiano Giometti

L'attiva collaborazione tra privati cittadini e pubbliche istituzioni ha portato alla creazione di molti musei in tutti gli Stati Uniti; di questa lunga lista fa parte anche il Virginia Museum of Fine Arts, nato nel 1936 dalla volontà di un ardimentoso giudice e dal supporto finanziario del governo locale.
La storia del museo di Richmond ebbe inizio nel 1919, anno in cui il giudice John Barton Payne, originario della Virginia, donò al Commonwealth la sua raccolta costituita da 50 dipinti. Confortato dal rapido susseguirsi di numerosi lasciti da parte di altri collezionisti, nel 1932 il giudice Payne sfidò le autorità governative offrendo una sovvenzione di 100.000 dollari, allo scopo di edificare una sede permanente per quella che era divenuta la collezione pubblica dello stato della Virginia. Il governatore John Garland Pollard accettò la sfida ed iniziò una campagna per la raccolta di ulteriori fondi. Grazie anche ad un decisivo finanziamento garantito dalla Federal Work Projects Administration, il sogno di Payne divenne realtà e, il 16 Gennaio del 1936, il bell'edificio in stile georgiano affacciato su Groove Avenue, che ancora oggi ospita il museo, venne inaugurato ufficialmente. Tra le raccolte più importanti che affluirono nelle sale del Virginia Museum of Fine Arts in questi primi anni di attività, si deve menzionare la Lillian Thomas Pratt Collection, donata nel 1947. Mrs Pratt, consorte del direttore esecutivo della General Motors, John Lee Pratt, tra il 1933 e il 1946 aveva raccolto un considerevole numero di quelle preziose uova create dal gioielliere Peter Carl Fabergé per gli zar Alessandro III e Nicola II di Russia. Il più singolare di questi esemplari è l'uovo in cristallo di rocca, sormontato da uno smeraldo cabochon di 26 carati, che fu donato da Nicola II alla zarina nel 1896. Altrettanto significativo è stato il contributo di Paul Mellon, che nel 1968 ha messo a disposizione i fondi per l'acquisto di alcuni dipinti e sculture indiane della famosa Heeramaneck Collection, mentre nel 1984 ha lasciato all'istituto la sua raccolta di dipinti dell'impressionismo e del post-impressionismo (Henri Rousseau, Tropical landscape, an American Indian struggling with a gorilla, 1910). E ancora, nel 1970 Ailsa Mellon Bruce donò la sua collezione, costituita da 450 tra porcellane e scatole gioiello, seguita nel 1971 da Sydney e Frances Lewis di Richmond, che stanziarono una grossa somma destinata all'acquisto di oggetti e mobili art nouveau.
Per dare un'adeguata sistemazione ad una tale massa di opere, il Virginia Museum of Fine Arts ha programmato una serie di ampliamenti dell'edificio originale, il primo dei quali fu terminato nel 1954 e, oltre alle nuove gallerie, ospita il Virginia Museum Theatre. Nel 1970 venne aperta la South Wing, a cui fece seguito, nel 1976, il completamento della North Wing. Infine, nel 1985, è stata inaugurata la West Wing, progettata degli architetti associati Hardy-Holzman-Pfiffer, e in cui hanno trovato collocazione la collezione Lewis e i dipinti di Paul Mellon.

Link: www.vmfa.state.va.us

 

Norfolk (VA): The Chrysler Museum

di Cristiano Giometti

Benché le tappe più significative della storia del museo di Norfolk siano tutte rintracciabili nel secolo appena trascorso, le sue origini risalgono agli anni immediatamente successivi alla Guerra Civile quando, nel 1871, le due insegnanti Irene Leache e Anna Cogswell Wood fondarono il Leache-Wood Female Seminary. Nel 1900, alla morte della collega, Miss Wood continuò a portare avanti un'intensa attività filantropica: a lei, infatti, si deve la creazione di una biblioteca (Irene Leache Library), e il supporto alla costituenda associazione studentesca sorta all'interno del seminario (Leache-Wood Alumnae Association), il cui scopo principale era quello di promuovere la nascita di un museo d'arte in città. Nel 1923, la campagna di sensibilizzazione promossa dalla Norfolk Society of Art, dette i suoi primi frutti e, grazie ad una eccezionale raccolta di fondi, si poté dare inizio alla costruzione del nuovo museo. Sebbene già il 4 marzo del 1933 una parte dell'edificio fosse inaugurata alla presenza del presidente Franklin Delano Roosvelt, i lavori si conclusero soltanto nel 1939; a quella data, oltre ad una collezione di pittura e scultura, il Norfolk Museum of Art and Science esponeva anche numerosi reperti di storia naturale. La rapida crescita delle raccolte, e la necessità di nuovi spazi espositivi per le mostre temporanee, rese ben presto necessaria la progettazione di un primo ampliamento, portato a termine nel 1967. L'esposizione inaugurale che venne ospitata nella nuova ala accolse, tra le altre, alcune opere provenienti dalla collezione di Walter P. Chrysler Jr. di New York. Il legame tra l'erede dell'industria automobilistica più famosa d'America e l'istituzione di Norfolk si consolidò nell'arco di pochi anni e, nel 1971, Mr Chrysler donò la sua straordinaria collezione d'arte al museo che, da quel momento, fu ribattezzato con il suo nome. Nel 1976 furono aperte 20 nuove gallerie destinate a ricevere le migliaia di opere giunte di recente e, nel 1989, grazie ad un piano di ristrutturazione dell'intero complesso, il numero delle gallerie è salito ad un totale di 60. La rinnovata struttura, progettata dagli architetti associati Hartman-Cox, oltre ad un auditorium e ai servizi aggiuntivi, ha permesso di dare un'adeguata sistemazione alla Jean Outland Chrysler Library, una biblioteca dedicata alla moglie di Mr Chrysler che oggi ospita più di 85.000 volumi. La collezione di arte barocca, senz'altro la maggiore attrattiva del museo, rivela la raffinatissima cultura del magnate-collezionista che ammirava le classiche composizioni del divino Guido Reni (L'incontro di Davide e Abigail, 1630-35), così come le vibranti pennellate di Van Dyck (Il martirio di S. Sebastiano, 1616-20). A lui appartenne anche l'opera forse più famosa di tutto il museo, e cioè il bellissimo busto raffigurante il Salvator Mundi, che Bernini scolpì tra il 1677 e il 1678 come dono per la regina Cristina di Svezia.
Il Chrysler, che conta oggi più di 30.000 opere, vanta inoltre una notevole raccolta di arte contemporanea (H. Matisse, Mele su un tavolo con fondo verde, 1916), ed espone regolarmente manufatti di arte africana, asiatica e pre-colombiana.

Bibliografia: JEFFERSON C. HARRISON, The Chrysler Museum. Handbook of the European and American Collections, Norfolk (Virginia) 1991

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