M.
Baxandall, Words for pictures. Seven papers on Renaissance Art and Criticism, Yale
University Press, New Haven & London, 2003, pp. XI-170
di
Gerardo de Simone
In
contemporanea con l'uscita in traduzione italiana di Ombre e lumi
(Torino, Einaudi - ed. orig. 1995), Michael Baxandall pubblica una raccolta
di sette saggi, di cui tre inediti e quattro già comparsi in varie
sedi tra il 1963 e il 1992, che investigano con esempi e da prospettive
diverse le relazioni tra linguaggio verbale e linguaggio figurativo nel
primo secolo del Rinascimento. In che senso, o meglio in quali sensi sia
da intendere il "for" che fa da ponte, nel titolo, tra le parole
("words") e i dipinti ("pictures") è così
chiarito dall'autore: "directed towards, in representation of, on
behalf of, as a basis for, (occasionally) in the place of". Dunque,
la letteratura artistica nella sua accezione più ampia, dalle fonti
ai trattati teorici agli scritti letterari o d'occasione, vagliata al
confronto con l'oggetto stesso di cui parla, l'oggetto artistico.
Le tre domande fondamentali attorno alle quali verte il discorso sull'arte
(Quali sono i buoni pittori? Cosa distingue la buona pittura? Che rapporto
ha con gli altri aspetti della vita?) presuppongono l'assunto della bontà
della pittura, di ascendenza antica (Plinio ecc.=in primis) e da
intendersi in senso sia estetico che etico-sociale. I Prolegomena iniziali
abbozzano un quadro complessivo del vocabolario utilizzato dalla "critica
d'arte" in Italia in riferimento alla pratica pittorica nel periodo
1435-1510. Uno spettro lessicale di alcune decine di parole, connotate
non in sé, ma contestualmente, desunto: a) dal Trattato di pittura
in versi di Francesco Lancillotti (1509) al livello basilare dei 'valori',
distinti in componenti della rappresentazione (paesaggi, figure, drappeggi,
arie), articolazione in parti (disegno, colore, composizione), elementi
della formazione (prospettiva, scorci, rilievo, tecniche), qualità
o 'virtù' (verisimiglianza, bellezza, maniera, grazia, talento
innato, abilità acquisita); b) dal De inventione dialectica
di Rodolfo Agricola (1479) al livello degli 'argomenti': ventiquattro
tópoi estendibili dall'analisi retorica a quella pittorica,
fino a definire quattro tipi di relazioni (costitutive, attributive, causali,
comparative); c) infine, al più alto grado di elaborazione teorica
in 'sistema', dal De pictura di L.B. Alberti (1435). Concetto-chiave
nel pensiero albertiano è il 'giusto mezzo', l'equilibrio tra opposti,
di derivazione aristotelica, la cui validità è filosofica,
estetica, etica e financo psicologica (al cast of mind dell'Alberti,
stoicamente votato al controllo di sé a fronte degli alti e bassi
della vita, è dedicato il secondo saggio della raccolta).
Esempio indicativo della penetrazione delle idee albertiane nella contemporanea
riflessione sull'arte è un capitolo del De politia letteraria
di Angelo Decembrio, dialogo ambientato alla corte di Leonello d'Este
di Ferrara (cenacolo di raffinati umanisti come Guarino da Verona): a
fronte dello stringato ciceronianesimo del fratello Pier Candido (l'ideazione
dell'opera precede la sua esecuzione) la posizione di Angelo appare estremamente
più articolata, con una corrispondenza puntuale alle formulazioni
dell'Alberti (proporzione, correttezza anatomica, differenziazione funzionale),
distinguendosi, oltre che per una tipicamente cortese equiparazione di
manufatti diversi (dipinti, gemme, monete, arazzi), per una spiccata predilezione
per il nudo, in quanto massima prova di naturalità e non soggetto
ai mutamenti del gusto e della moda.
Il già citato trattato di Agricola - Rolef Huysman, primo 'umanista'
nordico secondo Erasmo - da un lato rispecchia anch'esso la conoscenza
della precettistica albertiana, dall'altro offre un'interessante riflessione
sul ruolo e la concezione del committente, espressa in termini aristotelici:
coautore dell'opera, ne è insieme "causa efficiente"
e "causa finale" (in quanto committente e in quanto destinatario),
a differenza dell'artista, che ne è solo causa efficiente (in un
secondo momento, per di più, rispetto al committente). L'artista
recupera però uno status di parità laddove si consideri
come fine della creazione il suo profitto, o la sua fama, o, in termini
platonici, la realizzazione della sua Idea. Se il platonismo è
assente dalle speculazioni di Agricola, esso è però parte
integrante della cultura del tempo, imbevuta di classicità in forme
e modi molteplici (un 'eclettismo' che Baxandall definisce positivamente:
"not shiftiness but neoclassical agility").
Al Laocoonte di Jacopo Sadoleto (1506), poemetto celebrativo del
celebre gruppo scultoreo all'indomani del ritrovamento, è dedicata
una serrata analisi linguistica e semantica. Alla tradizione letteraria
dell'ekphrasis si assomma il determinante modello virgiliano (Eneide,
II, 199-224), che impronta fin nelle coloriture foniche i versi di Sadoleto.
Nel suo omonimo trattato Lessing dichiara il Laocoonte di Sadoleto
così perfetto da potersi sostituire ad una riproduzione grafica:
ma se Lessing era al fondo ironico ('tempo' letterario e 'spazio' figurativo
non sono equiparabili), la sequenza descrittiva con cui l'umanista ferrarese
costruisce il suo poemetto appare a Baxandall un saggio quanto mai acuto
ed elaborato delle possibilità stesse del linguaggio letterario
di 'tradurre' un'opera d'arte visiva. Al primo, fondamentale impatto d'insieme
segue la risposta emotiva, quindi uno schema formale del gruppo, infine
il resoconto dettagliato delle singole parti (Laocoonte, i due figli,
i serpenti): un percorso cognitivo-interpretativo, parallelo, anche se
a rigore non equivalente, ad un percorso di scansione oculare.
L'ultimo saggio è dedicato alla Resurrezione di Piero della
Francesca a Sansepolcro. Di questo studiatissimo capolavoro, manifesto
di orgoglio civico rinato (in chiave velatamente antifiorentina), Baxandall
prova a saggiare i significati propriamente pittorici servendosi dei più
sottili strumenti della psicologia della percezione visiva. Individua
sette 'eventi pittorici': il Cristo, tipologicamente composto di due metà,
una in piedi (il Risorto) e una assisa (il Giudice); il vessillo scorciato
(con funzione di richiamo ottico verso l'adiacente testa del Cristo);
l'acceso "rosa novello" (Longhi) della toga del Cristo, allusivo
alla Passione; il soldato privo di gambe (il secondo da destra); il sarcofago,
di cui è visibile solo il fronte (una frontalità aprospettica
accomuna il sarcofago e il Cristo, staccandoli dal resto); la compresenza
di prospettive divergenti; l'incrocio tra punta della lancia, ramo di
un albero e linea del paesaggio. Un passo di Isaia (63, 1-4), che narra
del vendicatore divino con la veste sporca del sangue dei popoli da lui
schiacciati nel tino come uva, è indicato da Baxandall come probabile
fonte scritturale (da cui anche il colore della toga e il sarcofago-tino).
Nel De prospectiva pingendi Piero eredita dalla tradizione di studi
ottici che dall'arabo Alhazen era giunta a John Pecham la nozione di mobilità
percettiva come condizione del processo conoscitivo. Indotta nella Resurrezione
dagli 'stimolatori ottici' essa può inferirsi - con la cautela
imposta dalla irriducibilità del medium visuale al verbale
dell'analisi critica - come cosciente veicolo di transitus visuali,
il tema (la Pasqua) del dipinto, in un'intima connessione di 'sillogismo
visivo' e contenuti spirituali.
Se un po' a sé resta il saggio sui termini inglesi per l'italiano
disegno (biforcatosi in 'drawing' e 'design' a scapito del corrispettivo
polisemico perfetto, 'draught'), il volume di Baxandall prosegue l'originale
investigazione delle fonti culminata negli ormai classici Giotto and
the orators e Painting and experience in fifteenth-century Italy
e approfondisce le ricerche sul linguaggio dell'occhio (e sui vani corteggiamenti
della parola) ereditate dal suo maestro Gombrich e sviluppate in lavori
come Patterns of intention e il già citato Shadows and
enlightment.
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