Un gioiello
ritrovato: il teatro Goldoni di Livorno
di Raffaella
Pastore e Giuseppe Di Pietrantonio
Poche
città in Italia hanno subito una sorte drammatica come quella di
Livorno, azzerata, rasa al suolo dai bombardamenti alleati del 1944.
È anche per questo che quando un edificio storico di pregio, come
il teatro Goldoni, "rinasce" in tutto il suo splendore, è
come se un pezzetto di identità perduta venisse restituito ai cittadini.
Il Goldoni (celebre non solo perché ha ospitato grandi artisti
da Enrico Caruso a Beniamino Gigli, ma anche per aver ospitato il Congresso
del Partito Socialista del 1921 nel corso del quale si creò la
scissione del Partito Comunista), che comprende anche il piccolo suggestivo
ridotto denominato "Goldonetta", è tornato all'antico
splendore grazie ad un accurato lavoro di restauro filologico e di recupero
funzionale ed è oggi un unicum, uno splendido scrigno, in
cui l'acustica perfetta della sala ellittica e l'elegante semplicità
degli interni ritrovati si sposano a soluzioni di grande modernità
tecnologica, come la suggestiva copertura a vetri, unica nel suo genere,
che magicamente scompare al momento dell'inizio degli spettacoli.
L'architetto Giuseppe Di Pietrantonio, che ha progettato e diretto i delicatissimi
interventi di restauro fino all'inaugurazione del 24 gennaio 2004, ha
gentilmente accettato di farsi intervistare per ripercorrere velocemente
la storia dell'edificio e l'iter che ha portato alla sua restituzione
alla città. Ecco allora, nonostante qualche taglio e qualche piccola
modifica, il resoconto della nostra chiacchierata: "È difficile
sintetizzare al volo 150 anni di storia
Dunque, la prima pietra dell'edificio,
progettato dal grande architetto livornese Giuseppe Cappellini, è
posata nel 1843, ed i finanziamenti sono forniti da privati naturalmente,
come si usava allora; il teatro è concluso in soli quattro anni
e viene inaugurato con il nome di "Leopoldo", in onore del granduca
lorenese, il 24 luglio 1847 con l'allestimento dell'opera "Roberto
il diavolo" di Meyerbeer. Dopo vari passaggi di proprietà,
con momenti di alti e bassi, in cui viene utilizzato comunque come teatro,
avendo un rilievo forte all'interno della società a Livorno, subito
prima della guerra si trasforma in cinema. Nel 1989 però il teatro
viene definitivamente chiuso: il suo gestore infatti era stato scoraggiato
dai danni seguiti al terremoto del 1984, che aveva lesionato alcune strutture,
anche se in modo abbastanza lieve, e dai costi che avrebbe comportato
l'adeguamento alle nuove norme di sicurezza. E' allora che l'amministrazione
comunale delibera di espropriare il bene, con il consenso del proprietario,
e a quel punto decide di intraprendere i lavori di restauro, che hanno
previsto dapprima la messa a norma delle vie di esodo e poi la ristrutturazione
globale di tutte le strutture, perché dal 1843 non si era mai più
intervenuti in tal senso. Iniziando il lavoro all'interno del teatro lo
abbiamo trovato pieno di interferenze e superfetazioni architettoniche,
di modifiche e alterazioni anche molto "violente", per cui a
quel punto siamo partiti con la ripulitura del teatro, anzi in realtà
siccome pioveva da tutte le parti il primo appalto è stato dedicato
al rifacimento del tetto, un lavoro di straordinaria manutenzione, e una
volta sistemato il tetto abbiamo iniziato pian piano a scendere, ripulendo
la struttura dalle aggiunte e facendo via via venire fuori, emergere,
parlare il teatro, secondo un criterio assolutamente filologico, ed è
stato un work in progress, non avevamo cioè un progetto
stabile, sapevamo che dovevamo restaurarlo, recuperarlo, che doveva funzionare
in un certo modo, però i particolari esecutivi, i dettagli, le
raffinatezze, sono nati in fieri, per cui man mano che conoscevamo il
teatro venivano fuori i particolari di come affrontare il lavoro; ad esempio
nella Goldonetta, ci siamo accorti che era stato invertito l'ordine palco-platea,
perché per comodità i vecchi gestori avevano trovato un
posto baricentrico tra i due ambienti e con un unico proiettore riuscivano
a proiettare i film in due sale, e questa è stata una sorpresa,
anche perché non avevamo a disposizione grandi elaborati grafici
e progetti, il Cappellini non li aveva mai fatti, aveva lavorato molto
a braccio, aveva trent'anni quando aveva iniziato a dedicarsi al teatro.
A partire dal ripristino della Goldonetta abbiamo capito che dovevamo
lasciarci guidare completamente dall'edificio stesso, anche nelle decorazioni
pittoriche, che nel ridotto abbiamo ricreato, pur alleggerendole moltissimo,
in base ad un raro disegno, una sezione longitudinale del Cappellini,
da cui si evinceva che tipo di decorazione avrebbe voluto fare sulle pareti
ma non si sa per quale motivo non venne poi realizzata, mentre abbiamo
recuperato ad esempio tutti i colori delle colonne, delle pareti, con
puliture progressive fino alla prima stesura sull'intonaco a calce originale.
Nel foyer sono invece state recuperate le decorazioni originali, a losanghe
e motivi geometrici, ed anche in sala c'erano già, quelle che si
vedono oggi sulle fasce dei palchi erano le decorazioni originali, le
abbiamo semplicemente ripulite ma erano in ottime condizioni, non abbiamo
neppure dovuto reintegrarle. Nei palchetti poi ci sono solo campiture
cromatiche, e anche lì è stata fatta un'indagine particolare
raschiando campioni di colore, fino a ritrovare quelli originali, e così
per il loggione e l'arco scenico: in ogni caso non abbiamo inventato nulla,
abbiamo reinterpretato la struttura che c'era. I problemi più spinosi
sono stati due: uno di grandissima importanza, perché la parte
strutturale dell'arco scenico, che divide il palco dalla platea, aveva
ceduto nelle sue fondamenta sul lato Sud, probabilmente già in
fase di esecuzione, per cui c'era un reale pericolo perché alla
fine tutto l'arco si sosteneva su un mattone da 12 cm ed il resto era
completamente lesionato; per cui lì siamo dovuti intervenire immediatamente
con un progetto ad hoc, e quello ci ha portato parecchie complicazioni.
L'altra grossa preoccupazione, al di là del problemi economici,
è stata quella di reinventare completamente la copertura zenitale
a giorno della grande sala, rispetto ad un progetto parziale di vecchia
data del Cappellini, naturalmente con la tecnologia del 2000, soprattutto
per quanto riguardava il risultato di questa copertura, per il rischio
di effetto serra e l'intensità della luce all'interno della sala,
oltre al problema della movimentazione delle tende che l'avrebbero dovuta
coprire, processo dinamico mai tentato credo in nessun altro luogo d'Europa.
Fortunatamente la Saint Gobain ci ha dato una mano, fornendoci dei vetri
particolarissimi, resistenti e isolanti e che abbassano del 50% la luminosità
e del 40% il rumore."
E in effetti, quando nella sala le luci si abbassano e la volta stellata
del cielo lascia silenziosamente il posto al buio ed al silenzio prima
delle note o delle parole, l'effetto è di una tale, unica suggestione,
da ripagare appieno l'architetto dei suoi sforzi e dell'essersi fatto
venire per progettarla "i capelli bianchi", come mi ha confessato
a registratore spento
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