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Udine: i nuovi sentieri dei beni culturali in Italia

di Emanuele Pellegrini

Il 27 e 28 maggio 2003 si è tenuto presso l'Università di Udine un convegno dal titolo I nuovi sentieri dei beni culturali in Italia: tra storia, economia e legislazione, promosso dall'Associazione Maiè formata dai dottorandi e dagli specializzandi in Storia dell'Arte di quell'ateneo.
I lavori sono stati introdotti da Donata Levi che ha individuato le ragioni di questa iniziativa nel tentativo di istituire un maggiore raccordo tra l'università - e l'ambito della ricerca ad esso connesso - ed il sistema di tutela dei beni culturali, la cui gestione è stata negli ultimi tempi toccata da un radicale riassestamento, giuridico ed amministrativo.
I recenti provvedimenti legislativi, infatti, hanno portato ad una sottomissione dell'aspetto culturale e - in casi sempre più frequenti - anche della tutela dell'oggetto artistico a fronte di interessi precipuamente economici; una soluzione di continuità nel sistema della conservazione dei beni culturali in Italia.
Salvatore Settis, autore del primo intervento, ha precisato due punti chiave: le recenti complesse problematiche non sono un italian job, nel senso che esse avranno ripercussioni importantissime all'estero, in quanto l'Italia ha sempre avuto un ruolo guida nel settore della tutela; e, secondariamente, ribadendo quanto già chiaramente espresso nel suo recente volume Italia S.p.a., egli ha spiegato che ci troviamo di fronte agli esiti di un processo che affonda le proprie radici nelle precedenti legislature, sebbene ora profondamente radicalizzato. Nel ripercorrere per tappe significative la legislazione degli stati italiani prima dell'unificazione, sì come nell'evidenziare la peculiarità italiana nel legame tra museo e territorio, Settis ha sottolineato come il sistema artistico abbia sempre rivestito funzione civile e non patrimoniale.
Giulio Volpe poi, secondo relatore, ha specificato l'assoluta imprescindibilità del carattere storico dal concetto di bene culturale, riconoscendo in due dei postulati cardini della legislazione in materia, l'inalienabilità ed il divieto di smembramento, principi costitutivi fondamentali. Volpe ha incentrato la propria argomentazione sul rapporto Stato-Regioni, altro momento delicato nel dibattito di questi mesi, riconoscendo anche in questo caso un processo di più generica riforma che prevede l'allocazione delle funzioni amministrative all'ente più vicino al cittadino (principio di sussidiarietà), auspicando un più diretto coinvolgimento, non solo delle Regioni, ma anche dei Comuni. Se riferito ai beni culturali il problema diviene evidente soprattutto nei conflitti di competenze che si possono instaurare tra queste entità, soprattutto ora che la presenza dell'Agenzia del Demanio e delle Scip (Società di Cartolarizzazione degli Immobili Pubblici) richiede chiarezza intorno a chi deve essere il referente primario nell'identificazione delle caratteristiche di alienabilità di un bene. Il professor Losavio, terzo relatore, si è concentrato proprio sulla centralità del concetto di inalienabilità, dimostrando gli effetti deleteri insiti nella pericolosa deriva del concetto di in vendibilità - cui è strettamente connesso il problema della tutela - nella successione dei provvedimenti legislativi e dei relativi regolamenti presentati negli ultimi cinque anni. Nel fornire alcune esemplificazioni, come la messa in vendita della Manifattura Tabacchi di Modena, è tornato ad insistere sul rischio di amputazione del patrimonio storico artistico della nazione. Nell'ultima relazione della prima giornata l'economista Bernardi ha dimostrato che il punto di partenza di un economista è "strumentale", ossia il momento economico è un mezzo al servizio di qualunque fatto umano, insistendo sulla scarsa opportunità di contrapporre pubblico e privato; e, dato fondamentale, ha ribadito che gestire in maniera economicamente produttiva un museo non significa portare i bilanci dal rosso al verde, bensì far funzionare adeguatamente il servizio in gestione, in relazione al suo ruolo, che è propriamente culturale. La scelta fra i relatori di un economista ha permesso di confrontarsi con punti di vista spesso negletti e che potrebbero finire invece per essere prevaricanti; da qui la necessità di conoscere argomenti apparentemente estranei al bene culturale.
Il momento di più difficile condivisione per i pochi umanisti operanti nel settore dei beni culturali arriva quando la ricerca scientifica è posta sullo stesso livello del management; se convivenza è giusto che sia, è altrettanto evidente che i due aspetti non possono essere posti sul medesimo piano.
I lavori della mattinata successiva sono stati dedicati alla relazione dei giornalisti Buono e Ricciardi e alla presentazione del sito www.patrimoniosos.it da parte di Marzia Bonfanti. I primi, che eseguirono un reportage televisivo sulle Scip per la trasmissione di Rai Tre Report, hanno documentato i danni ingenti che provocherebbe la dismissione di beni culturali ritenuti di non particolare importanza in talune aree geografiche, specialmente per quello che concerne i beni paesistici. La presentazione del sito ha rivelato un'altra esperienza sul campo originata dall'allarme innescato dai provvedimenti legislativi in materia di "patrimonio" culturale dell'attuale governo: un'"osservatorio" sulla rete che, dall'autunno del 2002, segue gli sviluppi della vicenda dei beni culturali in Italia, offrendo un aggiornamento bibliografico continuo (rassegna stampa, recensioni) e numerosi spazi per dibattiti e confronti (comunicati delle associazioni, interventi di esperti del settore).
La discussione che è risultata al termine dei lavori non ha potuto che riflettere il sostanziale disagio degli "addetti ai lavori", come emarginati dal loro stesso settore di competenza. Ma è proprio questo il nodo centrale della questione: la partita si gioca anche sul recupero della coscienza che la ricerca scientifica non è disgiunta dalla tutela e dalla gestione del territorio italiano. Si tratta, in sostanza, di recuperare l'insegnamento di molti dei maestri della storia dell'arte italiana, da Brandi ad Argan, per far sì che gli eremitaggi della ricerca non conducano ad una sostanziale esautoramento di coloro che dovrebbero essere i responsabili primi della gestione e della tutela dei beni culturali in Italia. Anche per riscattare quella perdita di incisività che, ad un livello istituzionale, si registra nell'inesorabile asservimento del Ministero dei Beni Culturali a quello dell'Economia.