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La fine del mondo secondo Angelico e Signorelli

di Gerardo de Simone

C. Gilbert, How Fra Angelico and Signorelli saw the end of the world, The Pennsylvania State University Press, University Park (Penn.), 2003, pp. XIX-200, $ 85.

Il nuovo libro di Creighton Gilbert, dedicato alla Cappella Nuova o di San Brizio nel Duomo di Orvieto, rivoluziona le più o meno consolidate acquisizioni sul celebre ciclo di affreschi iniziato dall'Angelico e completato da Luca Signorelli. La cappella, che fu edificata a partire dal 1406 "ad similitudinem" della dirimpettaia Cappella del Corporale, non aveva titolazioni ufficiali: nei documenti coevi viene infatti indicata genericamente come "Cappella Nuova". La mancanza di dedicazioni sarebbe alla base della scelta del Giudizio Finale come tema della decorazione, concordata, come prova il contratto, con l'artista incaricato, il Beato Angelico. A Orvieto preesisteva l'esempio del Giudizio del Maitani sulla facciata del Duomo; inoltre, nella stessa Umbria, si possono ricordare gli affreschi di Ottaviano Nelli e dei Salimbeni a Gubbio, di Paolo da Visso a Monteleone di Spoleto, di Bartolomeo di Tommaso a Terni. L'Angelico da parte sua aveva riproposto questo soggetto nella tavola per S. Maria degli Angeli a Firenze. Coadiuvato da Benozzo e da altri tre assistenti, il pittore eseguì nell'estate del 1447 le due vele con Cristo Giudice e angeli e i Profeti. Contrariamente all'opinione corrente, che limita la responsabilità ideativa dell'Angelico alle sole volte, Gilbert sostiene che a lui spetterebbe il disegno dell'intera campata interna, incluse le pareti sottostanti, unitariamente concepita per la rappresentazione del Giudizio. Il primo contratto stipulato dagli operai del Duomo col Signorelli, nel 1499, richiede infatti che venga rispettato il disegno dell'Angelico relativo a "dicte Cappelle Nove medietas", a metà cappella, cioè, e sottolinea l'assenza di disegno in merito all'altra metà, senza distinzioni tra volte e pareti. Le barriere architettoniche si troverebbero così scavalcate dalla superiore unità del soggetto. La principale conseguenza dell'approccio di Gilbert è la rinuncia alla convenzionale lettura in successione degli affreschi delle pareti, dalle Storie dell'Anticristo in senso antiorario fino all'Assemblea degli Eletti, con l'assurda - eppure invalsa fino ad oggi, tranne che in un breve studio del Riess - divisione del Giudizio in momenti in realtà sincroni.
Nello zoccolo della campata interna, accanto a quelli di Dante, Virgilio e Claudiano (con intorno scene tratte rispettivamente dai primi quattro canti del Purgatorio, dal libro VI dell'Eneide e dal De raptu Proserpinae), Gilbert individua il ritratto di Coluccio Salutati, circondato da episodi ancora dal Purgatorio (canti V-VIII) e dai Quattro Libri delle Fatiche di Ercole dello stesso Coluccio. Tutte le storie rappresentate si riferiscono a discese nell'oltretomba: i parallelismi pagano-cristiani, con la sussunzione della mitologia classica in un'ottica cristiana, sono tipici del pensiero umanistico. La serie dei personaggi effigiati riprende quelle di alcuni cicli civici fiorentini, da Palazzo Vecchio all'Arte dei Notai.
Signorelli, distaccandosi dalle precedenti raffigurazioni del Giudizio, non mostra l'interno dell'Inferno, ma si limita all'Antinferno con Caronte e Minosse nella parte destra della parete d'altare, e ai gironi più esterni nello zoccolo sottostante (If I-VIII): anche questa omissione può spiegarsi ricorrendo a Coluccio, che nel quarto libro dell'opera sulle fatiche di Ercole sottolinea la reticenza della Bibbia sull'aspetto dell'Inferno e la nostra necessità per immaginarlo di ricorrere ai poeti, i quali sono però da leggere allegoricamente. Il racconto purgatoriale-infernale di Signorelli segue anche questa sottigliezza, passando da scene narrative (Pg I-VIII, sotto l'Assemblea degli Eletti) a scene allegoriche (Pg IX-XXXI, sotto la Chiamata), esattamente all'unisono coi versi, puntualmente visualizzati, di Pg VIII (19-21) che invitano il lettore ad aguzzare gli occhi di fronte al "velo sottile" del vero.
I soggetti affrescati nella campata esterna rispondono all'esigenza, dichiarata nei contratti, di proseguire la decorazione con temi correlati al Giudizio. Il tema dell'Anticristo come preambolo al Giudizio compare già in un opuscolo illustrato stampato nel 1496, in un affresco trecentesco ravennate, nel dramma sacro coevo, nella Legenda Aurea: Signorelli combina insieme gli episodi ricavati da tutte queste fonti (dall'ultima in particolare). Nessun legame invece può ipotizzarsi, come sostenuto da molti commentatori, con l'immaginario apocalittico. L'evidenza assegnata da Signorelli alla Resurrezione della Carne, spostata alla campata esterna dalla canonica posizione centrale, può essere letta in chiave di ortodossia antieretica: i Manichei e i loro epigoni medievali davano al corpo una valenza negativa, riservando alla sola anima il privilegio della resurrezione. Inoltre essi, separando nettamente il bene dal male, negavano l'esistenza del Purgatorio. Orvieto era stata a partire dal Duecento un pericoloso avamposto dei movimenti ereticali entro i domîni papali. Non è forse un caso che negli affreschi della cappella trovino spazio immagini riferibili all'intera cantica del Purgatorio dantesco, nello zoccolo sotto l'Assemblea e la Chiamata degli Eletti.
Signorelli ha tratto precisi, e finora sfuggiti, spunti da Filippino Lippi, in particolare per le figure di eretici: tra questi il personaggio calvo nel riquadro dello zoccolo sotto le Storie dell'Anticristo, circondato da Storie di Lucrezia. Adiacente all'eroina romana, nell'arco di volta della cappellina dedicata a S. Maria Maddalena, era un David a monocromo oggi non più visibile ma ricordato dalle fonti, speculare alla Giuditta sull'arco di volta della cappellina di fronte. Questa triade esaltante le virtù civiche non è certo casuale e la sua presenza en abîme è da Gilbert messa in relazione con l'illustre casato orvietano dei Monaldeschi. Due Monaldeschi elargirono infatti sostanziose donazioni per la decorazione della cappella, e due stemmi del casato campeggiano simmetricamente agli angoli inferiori della volta, dal lato d'ingresso.
Il personaggio nello zoccolo sotto la Resurrezione della carne, già creduto il poeta Lucano, è interpretato come campione di virtù civiche, in virtù della corona di foglie di quercia: nel sesto libro dell'Eneide ad Enea appaiono così coronate le anime dei suoi discendenti in attesa di rinascere. Tra essi il più papabile per l'affresco è Silvio Enea: un cifrato omaggio ad Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II (1468-74), che aveva visitato Orvieto nel 1459 e aveva combinato il matrimonio tra un proprio nipote e una Monaldeschi. Attorno a Silvius Aeneas sono scene di lotta tra uomini nudi tratte dalla Tebaide di Stazio.
L'unico porporato ad avere legami diretti con Orvieto era all'epoca il cardinale Alessandro Farnese (fu prima canonico, poi arciprete della Cattedrale). Dotato di raffinata cultura umanistica, Gilbert lo considera l'indiziato più autorevole per l'elaborazione del programma iconografico, nonché, per gli stretti rapporti con i Medici, per la scelta dell'artista incaricato, Signorelli. Che l'iconografo/promotore del compimento della Cappella Nuova e il futuro committente del Giudizio di Michelangelo possano coincidere è conclusione del massimo interesse. Al Farnese spetterebbe in gran parte il merito sia della fedeltà al progetto angelichiano del Giudizio - estesa fino a prestiti precisi come quello qui illustrato, che si può segnalare a sostegno della tesi di Gilbert -; sia della complessa illustrazione dell'Inferno e Purgatorio danteschi, inedita quanto all'adozione del metodo allegorico, debitrice in questo del commento all'epoca più in voga, quello del fiorentino Landino.

 


 

1. Beato Angelico, Giobbe, part. della Crocifissione, 1440-42, Firenze, Convento di San Marco
2. L. Signorelli, Uomo con turbante, part. del basamento della Cappella Nuova, 1501-3, Orvieto, Duomo, 1487-1502, Firenze, S. Maria Novella, cappella Strozzi