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Incontri


MATTEO DA GUALDO. Rinascimento eccentrico tra umbria e marche

G
ualdo Tadino, Museo Civico Rocca Flea, 21 marzo-27 giugno 2004, mostra e catalogo a cura di Eleonora Bairati e Patrizia Dragoni;
convegno di studi, Gualdo Tadino, 21-22 maggio 2004.

di Gerardo de Simone

Con l'unità d'Italia, il ritrovato orgoglio civico delle mille "piccole patrie" disseminate lungo la penisola ha prodotto la celebrazione delle glorie artistiche locali, spesso risollevate da un plurisecolare oblio, come a Lucca Matteo Civitali e a Gualdo Tadino Matteo di Pietro, entrambi omaggiati quest'anno da due importanti rassegne monografiche nelle rispettive città.
A Gualdo la mostra è stata integrata da un convegno, svoltosi il 21 e 22 maggio, che ha affrontato non solo il singolo pittore Matteo e la sua bottega familiare, ma la rete delle relazioni e degli scambi nell'area umbro-marchigiana, interessata nel Quattrocento da un fertilissima fioritura di artefici: da un lato tenacemente e splendidamente interpreti della tarda fiammata del gotico; dall'altro aperti, ora più superficialmente, ora più in profondità, alle novità prospettiche rinascimentali.
La sigla del 'Rinascimento eccentrico', scelta come efficace epigrafe tanto della mostra quanto del convegno, affonda le sue radici nelle indovinate formule del "Rinascimento umbratile" di Roberto Longhi (1926) e dello "Pseudo-Rinascimento" di Federico Zeri (1983), che hanno contribuito in modo decisivo alla riscoperta e all'apprezzamento dei cosiddetti 'eccentrici'.
In apertura Bruno Toscano ha messo in guardia dalle riletture attualizzanti e dalle conseguenti, troppo disinvolte applicazioni lessicali (irrealismo, metafisica, espressionismo) ad artisti e correnti che occorre invece contestualizzare, ricercando nell'epoca e nei luoghi di pertinenza, nel clima storico, culturale, religioso e sociopolitico in cui operarono le ragioni degli indirizzi adottati. Anzi, a valutare la diffusione degli 'eccentrici', c'è da chiedersi se non sia piuttosto il Rinascimento ad essere 'eccentrico', quantitativamente e geograficamente minoritario. Nello specifico umbro-marchigiano, è da osservare la svolta piuttosto netta che si verifica intorno alla metà del secolo, da una società cortese, di signorie (come i Trinci a Foligno o i da Varano a Camerino), nella quale prevale il linguaggio 'internazionale' e gli artisti sono 'vaganti', ad una società caratterizzata dalla rivincita della Chiesa e del sacro, dove gli artisti sono prevalentemente stanziali e si differenziano in una miriade di parlate 'locali'.
Tipico esempio di artista stanziale è Matteo da Gualdo (1430/35-1507), il cui raggio d'azione non si estese mai oltre Assisi o Nocera Umbra (ad eccezione del Trittico di Coldellanoce per le vicine Marche), e la cui bottega impiantò un solido monopolio nel gualdese, destinato a durare col figlio Girolamo e il nipote Bernardo. All'importanza delle fonti archivistiche per la ricostruzione delle vicende di Matteo e della sua famiglia si è dedicato l'intervento di Sonia Merli, che ha sottolineato l'utilità di una fonte come i testamenti (Matteo ne redasse ben cinque tra il 1465 e il 1505). Un profilo biografico-critico di Matteo, Girolamo e Bernardo è stato tracciato da Enzo Storelli, erudito gualdese, che ha riletto Matteo, già riconosciuto da Zeri come principale erede di Bartolomeo di Tommaso da Foligno, alla luce della pluralità di contatti - centroitaliani, meridionali, nordici - ravvisabili nel suo corpus, ivi compreso il fondamentale apporto senese (Giovanni di Paolo su tutti); così come di Girolamo e Bernardo, notai oltre che pittori, ha evidenziato la pur timida apertura a influssi perugineschi e signorelliani.
Nei primi anni del Novecento una serie di mostre, in Italia come in Europa, consacra la riscoperta, condita di orgoglio nazionalistico-municipalistico, dei 'primitivi' e delle scuole locali (Bruges nel 1902, Parigi nel 1904, Siena e Macerata nel 1905, Perugia nel 1907): alla mostra perugina venne esposto, nella sala dedicata a Matteo, il Trittico di S. Pietro a Gualdo, che fu però riconosciuto come falso: fortunatamente l'originale (smerciato anni prima con la complicità dell'abate di S. Pietro) venne poi ritrovato presso un antiquario romano e riconsegnato alla sede originaria nel 1912. Tale episodio, emblematico delle difficoltà della tutela del patrimonio artistico negli anni di passaggio dalla volontaristica tutela locale a quella centralizzata, regolata dalla legge del 1902-9, è stato rievocato da Eleonora Bairati. Federico Valacchi ha confermato, in relazione alla situazione archivistica, la svolta dal modello gestionale policentrico all'indomani dell'Unità (si veda la relazione di Cesare Guasti nel 1870) a quello accentrato invalso fino al 1939, con la successiva, graduale valorizzazione delle risorse locali, che ha prodotto ottimi risultati in Umbria, mentre forti ritardi e manchevolezze permangono in altri ambiti regionali.
Il panorama artistico coevo a Matteo è stato illuminato in varie direzioni dagli altri interventi. Giordana Benazzi ha presentato il milieu folignate, nell'imminenza dell'inaugurazione della mostra dedicata a Niccolò Alunno (Nicolaus pictor. Artisti e botteghe a Foligno nel Quattrocento, 29 maggio-3 ottobre), di cui sono state fornite alcune anticipazioni. Quanto poco le periferie fossero isolate e quanto invece fossero crocevia di relazioni transprovinciali è esemplificato da due documentate èquipes: Gentile da Fabriano, Jacopo "da Vinegia", Giambono da Budrio, Battista da Padova e Paolo Nocchi da Foligno a Palazzo Trinci nel 1411-12; Bartolomeo di Tommaso, Nicola da Siena, Andrea Delitio, Giacomo di Corrado da Ragusa e Luca di Lorenzo d'Alemagna in S. Agostino a Norcia nel 1441-42.
Elvio Lunghi ha toccato il delicato tasto dell'allievo di Perugino Andrea d'Assisi, la cui opera risulta difficilmente ricostruibile con certezza per le scarse informazioni documentarie e le non pacifiche distinzioni di mano rispetto al maestro e soprattutto al coetaneo Pinturicchio. Uno squarcio è stato abbozzato sulla giovinezza del Perugino, su una prima formazione cioè umbra e preverrocchiesca, ipotesi finora poco sondata dalla critica e che può essere rilanciata alla luce della grande mostra perugina di quest'anno (Perugino il divin pittore, 27 febbraio-5 settembre). Di Pinturicchio è stato notato il legame con la committenza Baglioni, più stretto e duraturo di quello avuto da Perugino, esemplificato da una doppia commissione a Spello, a distanza di alcuni decenni, la prima per Braccio, la seconda per Troilo.
Fabio Marcelli ha esaminato i resti di affreschi dell'ex chiesa di S. Margherita a Cascia, proponendone l'attribuzione a Saturnino Gatti, pittore e scultore aquilano, allievo di Silvestro dell'Aquila. Il confronto delle pitture di S. Margherita con il ciclo di S. Panfilo a Tornimparte (AQ), datato al 1494 c., e il documentato impegno di Saturnino negli stessi anni in S. Maria della Pieve a Norcia (affreschi perduti) fornirebbero un plausibile appiglio cronologico per il ciclo di S. Margherita, contribuendo all'auspicabile ricostruzione dell'attività umbra del Gatti, lungo il triangolo Cascia-Norcia-L'Aquila.
Tre giovani studiosi dell'Università di Macerata, Sabina Biocco, Francesca Coltrinari e Giuseppe Capriotti, hanno illustrato i risultati delle proprie ricerche di dottorato. Le prime due dando notizia di una cospicua serie di ritrovamenti documentari, vertenti nell'un caso sulle presenze di artisti umbri nelle Marche (il perugino Anselmo di Giovanni, a Jesi, Sassoferrato, Matelica; il suo allievo Orlando Merlini, a Macerata Feltria e Albacina; il figlio di Bartolomeo di Tommaso, Polidoro, a Sassoferrato; un altro perugino, Sebastiano di Rodolfo della Pietra, pure a Sassoferrato e ad Arcevia), nell'altro sull'intagliatore Paolino da Ascoli e la sua bottega tra Umbria e Marche (attivo tra il 1448 e il 1456 tra Assisi e Perugia, nel decennio 1456-67 a Tolentino; suoi soci di volta in volta Apollonio di Ripatransone, Giovanni di Stefano di Montelparo, Diotisalvi da S. Ginesio, Tommaso di Antonio da Firenze e il dalmata Giovanni Schiavo). Capriotti ha indagato invece l'iconografia di S. Sebastiano nella scultura lignea umbro-marchigiana, soffermandosi in particolare sulla soluzione con un braccio sollevato, attestata in alcuni dipinti fiamminghi e incisioni nordiche (si ricordi la presenza dei protostampatori tedeschi a Foligno e di due Crocifissi lignei di Johannes Teutonicus), adottata ad esempio da Domenico Indivini.
Gabriele Barucca ha ripercorso la storia e i restauri delle tavole di Niccolò Alunno per S. Maria in Piazza a Sarnano (i due pannelli con i SS. Pietro e Giovanni Battista e i SS. Benedetto e Biagio); Maria Stella Spampinato e Barbara Provinciali hanno fatto altrettanto con il Polittico di Recanati di Ludovico Urbani.
Fuori programma un breve intervento di Matteo Mazzalupi, che ha mostrato un ciclo di affreschi, pressoché inedito, in S. Maria di Laverino a Fiuminata, datato 1506 e attribuibile alla mano di Girolamo di Matteo da Gualdo.
In chiusura Massimo Ferretti, nel giudicare positivamente l'equilibrio tra profilo monografico e contestualizzazione storico-geografica emerso nel convegno, ha ribadito l'importanza della riscoperta ottocentesca di Matteo, culminata nella dedicazione al pittore del Museo Civico di Gualdo.

Matteo da Gualdo, Madonna in trono col Bambino, i santi Lorenzo e Sebastiano e il committente inginocchiato, 1480-90 c., Coldellanoce (Sassoferrato), S. Lorenzo

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