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In mostra

Domenico Puligo (1492-1527). Un protagonista dimenticato della pittura fiorentina
Firenze, Palazzo Pitti 28 settembre 2002-5 gennaio 2003,
catalogo a cura di S. Padovani ed E. Capretti, Ed. Sillabe, € 30,00.

di Benedetta Moreschini

Una mostra - quella dedicata a Domenico degli Ubaldini alias Puligo - di nicchia, percorsa da pochi interessati e da quanti in visita alla Galleria Palatina si concedono un excursus fra i dipinti di un artista ai più del tutto sconosciuto, ma che d'altronde è compreso nel biglietto; una mostra lontana dai clamori e dalle ribalte pubblicitarie, e, proprio per questo, non sospetta di essere il business che spesso condiziona l'ideazione di molte esposizioni dei nostri giorni; ciò che, del resto, è sottolineato anche dal Soprintendente Paolucci nella concisa e puntuale introduzione al catalogo. Una mostra che ha il grande pregio di fornire un'idea complessiva della personalità artistica di questo pittore, allievo di Ridolfo del Ghirlandaio prima e di Andrea del Sarto poi, che nei primi decenni del XVI secolo contribuì alla diffusione della lezione sartesca, rielaborandola secondo una direttrice che, per non essere rivoluzionariamente anticlassica come quelle di Pontormo e Rosso, è rimasta esclusa, finora, da una accurata analisi di tipo monografico a tutto campo (sistema di studio "vecchio" ma dimostratosi ancora assai valido laddove ci sia necessità di chiarirsi e chiarire le idee) che avesse il coraggio di affrontare una per una le attribuzioni proposte negli anni al Puligo; perché - non è scontato sottolinearlo - fino a pochi decenni fa, sotto il nome di Puligo confluiva una congerie di opere delle quali, se per un verso si indovinava la matrice sartesca, dall'altro non si riuscivano a spiegare alcune "stranezze" o debolezze che esulavano dalla poetica del "pittore senza errori".
Percorrendo l'ampia Sala Bianca di Palazzo Pitti, nella quale è esposta la sezione dedicata alle opere devozionali (per lo più Madonne con Bambino e Sacre Conversazioni), si assiste allo sviluppo del percorso svolto dal pittore, dalle prime prove nate sotto l'influenza del Ghirlandaio e di Fra Bartolomeo, a quelle della maturità concepite all'ombra del maestro ed amico Andrea di Cione: a scopo didattico, l'esposizione non manca di farci riammirare due supremi capolavori di quest'ultimo conservati alla Palatina, la Sacra Famiglia Bracci e la Sacra Famiglia Medici, e dal confronto con esse emerge distintamente quanto il Puligo sia stato lente di ingrandimento di impaginazioni compositive desunte dal maestro - benché attento anche a quanto veniva proposto da Rosso e Pontormo - marcando però la gamma cromatica del Sarto e facendola virare su rosa accesi e rossastri posati intorno agli occhi, sulle guance, sui nasi, sulle ginocchia a risaltare sul tono livido che generalmente accomuna gli incarnati dei suoi personaggi.
All'ombra di Andrea del Sarto vivono anche le opere esposte nelle due sale attigue, nelle quali le curatrici hanno affrontato altre due problematiche assai spinose: la produzione ritrattistica del pittore e quella di alcuni "eccentrici" suoi comprimari. Nei ritratti, come per le opere sacre, infatti, l'analisi non può prescindere dai modelli codificati in quegli anni dal Sarto, dal Pontormo e dal Rosso, purché non si ometta di evidenziare la personale declinazione intimistica offerta dall'Ubaldini; ma certo il compito di assegnare un ritratto al Puligo o al Carucci o al Rosso non risulta per questo più semplice. Nella sezione dedicata agli "eccentrici", secondo quella che fu l'appropriata definizione dello Zeri, confluiscono, invece, alcuni dipinti di piccolo formato, i cui supposti autori, personalità sfumate e sfuggenti come i loro dipinti, pur avendo gravitato nell'orbita del Sarto, seguono poi una strada autonoma, "acutizzandone" la maniera, spingendo l'acceleratore su alcune singole componenti dello stile del maestro, ma sono ancora o puri nomi, come nel caso del Visino, o nomi, come Giovanni da Larciano e Antonio di Donnino, il cui catalogo è tuttora in fieri.

Immagine:D. Puligo, Madonna col Bambino e i ss. Sebastiano e Rocco, 1522-23 c., Budapest, Szépmüvészeti Múzeum
Documenta 11 a Kassel
di Lucia Francia e Alberto Salvadori

Il 15 settembre si è chiusa l'XI edizione di Documenta, la più importante esposizione internazionale d'arte contemporanea, che ha luogo ogni cinque anni a Kassel, in Germania.
Documenta 11 risulta notevole e nuova soprattutto per l'itinerarietà da cui è stata caratterizzata. L'esposizione vera e propria non è altro infatti che l'epilogo di una ricerca iniziata nella primavera dello scorso anno e fondata su quattro precedenti analisi denominate platforms, svoltesi nelle più lontane e diverse parti del mondo. La prima, Platform 1, tenutasi tra marzo-aprile e ottobre 2001 a Vienna e Berlino affrontava l'argomento Democracy Unrealized; Platform 2 nel maggio 2001 a New Dehli Experiments with truth: transitional justice and the processes of truth and riconciliation; Platform 3 nel gennaio 2002 a St. Lucia Créolité and Creolization; Platform 4 nel marzo 2002 a Lagos Under siege: four african cities - Freetown, Johannesburg, Kinshasa, Lagos.
Queste, organizzate come discussioni su tematiche di natura politica, antropologica e sociale, i cui risultati sono peraltro in via di pubblicazione, hanno fornito la base e il centro focale della Platform 5, la mostra appunto.
L'idea alla base della ricerca curatoriale di Documenta, muovendo dalla rappresentazione artistica tocca tematiche di natura sociale e globale, è stata resa possibile grazie alla presenza di un direttore artistico - Okwui Enwezor - di origine africana ma formatosi in Occidente, che ha scelto un team di studiosi appartenenti a diverse realtà culturali.
Il dato più interessante risulta infatti la multietnicità degli artisti, spesso uniti dalla scelta del soggetto, che nella gran parte dei casi pone domande ed offre spunti a problematiche esistenziali, collettive e territoriali di caratura notevole. L'opera più rappresentativa da questo punto di vista appare allora Bataille Monument dello svizzero Thomas Hirschhorn che propone un'analisi sull'opera del filosofo Georges Bataille suddivisa in diverse sezioni, collocate all'interno di un quartiere periferico della cittadina di Kassel, abitato perlopiù da immigrati turchi e curdi. L'interazione reale e quotidiana dell'arte con la vita degli uomini può suscitare molte riflessioni e polemiche. Quanto l'arte risulta utile, anche in senso lato, al miglioramento della spiritualità e della condizione umana? Ma anche quanta potenziale speculazione nasce e prende vita dal lavoro di un artista che sceglie come soggetto della sua opera la sofferenza umana?
Chiaramente non è facile ottenere risposta a tali quesiti, abbiamo tuttavia trovato interessante la scommessa, in mezzo a tanta creazione contemporanea facile e di poco spessore, di chi indaga sull'Io o sulla denuncia di situazioni sociali scomode, talvolta creando opere aventi un metalinguaggio tautologico della condizione umana, nel mondo postcoloniale investito dalla globalizzazione.


Citiamo di seguito solo alcuni, che crediamo tra i migliori, lavori presenti in mostra: Western Deep dell'inglese Steve McQueen, The House della finlandese Eija-Liisa Ahtila, From the other side della belga Chantal Akerman, From/To dello statunitense Fareed Armaly, Out of Blue dell'ugandese Zarina Bhimji, The Uruguajan Torture Series del tedesco naturalizzato uruguaiano Luis Camnitzer, i ben tre lavori del libanese ATLAS GROUP, e per concludere gli italiani Multiplicity con il loro Solid Sea e gli indiani Raqs Media Collective con la bella installazione 28°28°N/77°15E::2001/2002 An Installation on the Coordinates of Every Day Life-Dehli.

L'esposizione è d'altra parte molto grande; essa si dipana infatti attraverso cinque edifici collocati in diversi punti di Kassel, tra cui anche una piccola parte all'aperto. Novità di quest'edizione è il neonato spazio espositivo Binding Braurei, allestito dai giovani architetti Simona Malvezzi, italiana, e i fratelli Kuhn, tedeschi.
Colpisce indubbiamente la coerenza e l'organicità curatoriale, nonostante i 116 artisti in mostra e il frazionamento delle sedi, il tutto facilitato anche dalla perfetta organizzazione. Infine, aspetto inusuale in ambito contemporaneo perlomeno in Italia, è stata la grande affluenza di un pubblico eterogeneo, che ha superato il mezzo milione di presenze nei 100 giorni di Documenta 11.

Immagine:Thomas Hirschorn, Bataille Monument, 2002

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