Torna alla home page
Figure

 

 

Moda d'epoca. Costumi in Galleria

di Brunetta Niccoli

Era il 1983, quando si attuava il progetto di una GALLERIA del COSTUME: "L'idea di dedicare un settore di Palazzo Pitti ai costumi storici è nata dalla presenza, tra le varie raccolte del Museo degli Argenti, di un nucleo di abiti settecenteschi […] Siamo felici di poter includere pezzi provenienti da Trieste, Milano, Bologna, Roma […] Firenze" (K. Aschengreen Piacenti - prima direttrice del Museo - in La Galleria del Costume. Palazzo Pitti, Firenze, Centro Di: il primo di una serie di importanti cataloghi curati da eccellenti autori). Dallo stesso 1983 la fondazione Amici dei Musei ha affiancato l'attività della galleria. Nel 1996 la Aschengreen Piacenti lascia, con una mostra dal titolo emblematico di Abiti in festa, la guida a Carlo Sisi, Direttore della Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti, ed a Caterina Chiarelli, vicedirettore della Galleria.Una politica di acquisizioni, e non di vendite, distingue da ormai 19 anni la Galleria, che costituisce a pieno titolo il primo ed unico museo del costume storico e della moda in Italia.Vale la pena di sottolineare questo dato dopo la spiacevole distrazione (in pubblica trasmissione televisiva Telecamere, aprile 2002)del Ministro dei Beni Culturali Urbani, che auspicando la nascita a Milano, sede ideale certamente per evocare la Moda, di un primo museo italiano ad essa dedicato ha finito - ahinoi - col dimenticare l'unica realtà esistente del settore.È il destino del fenomeno Moda di essere effimero, certo, ma non evanescente!Stiamo parlando in realtà di una "specie protetta" del regno museale italiano, genere: ARTI APPLICATE. Forse per questo cade nella dimenticanza? Ma attenzione, proprio i maestri del Rinascimento, quelli a tutti noti, dialogavano con il costume e lo ideavano. Dice nulla al Ministro l'opera di quel da Vinci? Sosteniamo la Dott.ssa Chiarelli nella sua replica: una dimostrazione di competenza e di difesa della dignità del proprio operato nonché dei suoi attivi collaboratori ("La Nazione", 23 aprile 2002).Il connubio tra costume e arte moderna, proposto in Galleria, è vincente, nell'opinione della Chiarelli, in quanto molteplici sono le affinità e ciò consente di esprimere pienamente le relazioni tra moda e arti figurative. Guardate i quadri esposti nelle sale, che accattivanti alludono agli abiti, e capirete il perché.

Ma ciò che non si vede è forse l'orgoglio maggiore del vicedirettore: i depositi della Galleria, che la stessa Chiarelli si è offerta di aprire (durante una visita con la Prof.ssa Donata Devoti e alcuni specializzandi e dottorandi dell'Università di Pisa), adoprandosi per spiegare, oltre ai pezzi in mostra, i criteri espositivi e, allo stesso tempo, i complessi problemi legati alle mostre: climatizzazioni, luci, i nemici riconosciuti del tessile, insieme all'aggressiva polvere. Di certo la conservazione sembra proprio essere l'elemento principe della gestione di questo museo. Gli stessi depositi, recentemente collocati in un nuovo allestimento, con un impegnativo lavoro, sono stati realizzati secondo i più moderni principi tecnico-scientifici e si pongono all'avanguardia nel settore.
Una mostra permanente ed una temporanea accolgono tradizionalmente il visitatore a Pitti ed è compito assai imbarazzante ricordare le esposizioni del passato, vista la numerosa attività della Galleria. Arrischiamo comunque una selezione: Cerimonia a Palazzo. Abiti di corte tra Ottocento e Novecento, 1990; Umberto Tirelli. Un omaggio, 1991; La donazione Emilio Pucci: colore e fantasia, 1992; Moda alla corte dei Medici, 1993; La veste del sonno. Letti e abiti da notte alla Galleria del costume, 1994; La donazione Roberta di Camerino. L'illusione del Trompe-l'oeil come realtà di uno stile universale, 1995;Il salotto alla Moda, 1997 (la ricreazione

di un gusto d'epoca dagli arredi, aidipinti, alla grafica, alle vesti: sulla scena il Rococò, si è trattato di un'ambientazione, esperimento pilota, vogliamo sperare, dove gli abiti erano esposti fuori dalle vetrine, per quanto per un breve tempo); Omaggio a Pier Luigi Pizzi, 1998. Nel futuro, per il 2003, la Galleria riserva L' Abito e il volto: un'esposizione per festeggiare il ventennale, cui siamo tutti invitati. Saranno esposti abiti in relazione a personaggi storici, della cultura e dello spettacolo. Un progetto che pone la moda, per dirla con Roland Barthes, in comunicazione con il mondo.
Segnaliamo in conclusione allo studioso la disponibilità estrema con cui sempre si è accolti in Galleria, un'opportunità da non perdere per gli interessati, non ce ne voglia la Direzione…

Palazzo Pitti, Palazzina della Meridiana :9-14 (feriali), 9-13 (festivi). Chiuso il Lunedì

Immagine: Abito femminile da cerimonia, Haute-Couture parigina (etichetta 'Worth-Paris'), 1884, Firenze, Palazzo Pitti, Galleria del Costume

 

A spasso per la Galleria

di Cristina Borgioli e Giulia Meucci

La fuga di porte che si presenta al visitatore al suo ingresso nella Galleria del Costume è una suggestiva metafora dell'allestimento di questo museo. Muovendosi tra le vetrine della Galleria, si ha l'impressione di passeggiare tra le pagine di un colorato libro di storia del costume. Di sala in sala si assiste allo svolgersi della moda, col suo mutare ampiezze e lunghezze, tonalità cromatiche ma anche tessuti: ora pesanti ed avvolgenti, ora leggerissimi ed impalpabili. La statica sfilata si apre con una recentissima quanto preziosa acquisizione: un corsetto italiano di fine Seicento dalla foggia a tronco di cono, con punta sul davanti e sul dietro, vita bassa ed allacciatura anteriore, realizzato in un damasco azzurro dal raffinato disegno a scacchiera con grandi motivi floreali stilizzati. Nella successione cronologica l'attenzione cade immediatamente sulla robe à la française, di probabile manifattura napoletana databile tra ottavo e nono decennio del Settecento, realizzata in un lussuoso taffetas color senape con broccature policrome e dorate. La decorazione del tessuto è quella "a meandro", giocata sul sinuoso intrecciarsi di tralci fioriti ondulanti: la preziosità di questa seta motiva l'ottima conservazione dell'abito, giuntoci con poche lievi trasformazioni dettate dagli inevitabili mutamenti della moda.
Le manifatture sono molte e varie: tra queste una delle più preziose è quella dell'abito nuziale color avorio dell'atelier parigino Worth, datato 1884, la cui raffinatezza sartoriale si svela nell'elegante alternarsi di raso e taffetas dell'abito dalla linea princesse con ampio pannello drappeggiato e frangiato ripreso sul dietro e nel malizioso gioco del tulle e dei nastri di raso sulle maniche. Tra i costumi più emozionanti due straordinari Fortuny: un mantello da sera confezionato dall'artista catalano per la "divina" Eleonora Duse, in velluto cremisi stampato in argento, con una possente ripresa del motivo quattrocentesco della "griccia" ed un mantello in crêpe di seta nera con stampa dorata, di decorazione e foggia in stile persiano-copto, completo di murrine variopinte.
Non mancano gli accessori: tra le scarpe le più antiche (1760) hanno il tacco a rocchetto e sono realizzate in taffetas broccato; non meno eleganti quelle francesi in stile Art Nouveau, con tomaia in raso nero decorata con paillettes. Tra le borsette la più esotica è completamente ricamata a nodetti e reca tra nuvole cinesi un bel dragone anch'esso a ricamo, di probabile manifattura orientale.
Carlo Sisi e Caterina Chiarelli sentono fermamente la necessità di inserire i vestiti all'interno di vetrine nelle quali l'aria venga filtrata e l'illuminazione non sia dannosa per i tessuti. In realtà però ciò che preserva gli abiti da uno stress eccessivo è la programmata rotazione del materiale posseduto dalla Galleria, scelto in modo da formare percorsi espositivi coerenti che cambiano ogni due anni. Accorgimenti tecnici ulteriori sono adoperati nella realizzazione dei manichini, che per gli abiti dal Settecento al primo Novecento sono completamente snodabili ed imbottiti per poterli adattare al vestito ed hanno sia le mani che la testa al fine di non dare l'impressione di troncature nette; in questo senso sono importanti le acconciature in carta costruite ad hoc per ogni abito da Mary Westermann Bulgarella.
Per quanto riguarda l'esposizione tematica di capi più recenti, la situazione è abbastanza diversa: i manichini (in tela di lino grezzo, senza braccia né testa) sono posti in posizione "a scacchiera" nelle vetrine, cosa che tende ad accentuare un po' il difetto - del tutto comprensibile - della galleria: la difficoltà di cogliere gli abiti a tutto tondo. Tale limite risulta però meno inopportuno per la scelta accattivante di creare un contesto anche pittorico nelle diverse sale, nelle quali non solo sono presenti nuclei di abiti tra loro contemporanei, ma una visione globale del costume è suggerita dalla presenza di dipinti che "completano" i capi con gioielli, copricapi, borsette, ma soprattutto restituiscono il clima culturale.

E' possibile concludere il viaggio nella moda italiana attraverso due belle mostre, che analizzano la storia del costume dagli anni Venti ai Cinquanta del Novecento: Il guardaroba di una signora siciliana, quindici preziosi capi appartenuti ad una elegante signora trapanese e Moda femminile tra le due guerre, raffinati abiti da sera Vionnet ma anche castigati tailleurs di quelle donne italiane, condannate all'autarchia, che continuavano a sognare Lanvin.

 

Immagine:abito, manifattura italiana, Palermo, 1927 c., ibidem


I cantieri di restauro dell'Opera del Duomo: dalla Porta del Paradiso a quella della Mandorla

di Novella Barbolani

Di lavoro o impresa particolarmente lenta si dice "farla lunga come l'Opera del Duomo". E non è solo un detto visto che ci sono in gioco 45.000 metri quadrati di materiale, soprattutto marmo, tra il Duomo, il Campanile e il Battistero, ovvero il patrimonio appartenente all'Opera di Santa Maria del Fiore, concentrato in una delle piazze più calpestate del mondo. E tra i fini istituzionali dell'Opera, la cui fondazione risale al 1296, vi è proprio la cura e manutenzione dei suoi monumenti. È con una certa soddisfazione dunque che, alcune settimane fa, è stato presentato il punto delle attività in corso e il programma degli interventi futuri.
Mentre prosegue la collaborazione tra l'Opificio delle Pietre Dure e l'Opera stessa nel restauro delle formelle della Porta del Paradiso, imponente lavoro in bronzo dorato del Ghiberti, di cui sono state già realizzate otto formelle su dieci, si pensa alla sua futura collocazione all'interno del Museo dell'Opera. In particolare, il team di specialisti sta pensando ad un allestimento nella nuova ala del Museo, progettata da Santiago Calatrava che trasformerà i 1.700 metri quadrati del teatro settecentesco degli Intrepidi in una sorta di cattedrale gotica con una copertura in acciaio bianco e vetro. Il progetto dell'architetto spagnolo prevede una speciale situazione espositiva, una gigantesca teca o un'intera stanza "trattata" ad azoto, atta a contenere l'intera porta bronzea restaurata e ivi rimontata. Una collocazione adeguata per questa delicata e grandiosa opera di oreficeria che testimonia la "diabolica" bravura tecnica del Ghiberti che fuse i due battenti e il telaio che fanno da cornice alle formelle e al fregio come due pezzi unici, dove poi incastrare con millimetrica precisione i singoli rilievi, oggi nuovamente risplendenti d'oro grazie anche alle nuove tecniche del laser in grado di lavorare negli spazi tra il bronzo e l'oro rimuovendo le incrostazioni (tra cui il fango dell'alluvione) senza danneggiare la doratura.
Ma la notizia principale riguarda l'atteso restauro (oggetto degli strali dell'americano James Beck) dell'arredo plastico e pittorico della Porta della Mandorla collocata sul lato meridionale della Cattedrale. Realizzata circa in un trentennio fra il 1391 e il 1421, secondo un complesso programma iconografico che si conclude nel timpano con il rilievo dell'Assunzione della Vergine di Nanni di Banco, la porta comprende, oltre alle numerose sculture alle quali lavorarono Giovanni di Ambrogio e Niccolò Lamberti ma anche Donatello, una lunetta a mosaico con una "Annunciazione" eseguita alla fine del Quattrocento da David Ghirlandaio. Un complesso di capitale importanza per comprendere il passaggio dalle ultime fasi del gotico al primo incipiente Rinascimento e che si può dire letteralmente aggredito prima dalle scialbature protettive e dai lavaggi aggressivi, poi dalle impietose particelle inquinanti e corrosive che hanno depositato, sulle parti più esposte, delle pesanti croste nere. Dopo analisi preventive il restauro, che si prevede concluso in due anni, sarà portato avanti dall'Opera di Santa Maria del Fiore e dall'Opificio delle Pietre Dure con la collaborazione del CNR e dell'Università di Siena. Visto lo stato attuale della Porta, annerita in quasi tutte le sue parti, è probabile che la sua pulitura risulterà davvero sorprendente, per la varietà di marmi, da quello apuano agli intarsi in serpentino di Prato e calcare rosso, ai colori del mosaico, una Porta colorata insomma come nessuno l'ha ancora mai vista.
Accanto a questi due 'maggiori' interventi, proseguono tanto il restauro della Loggia di Baccio d'Agnolo che corona il tamburo della Cupola (più conosciuta come Loggia dei Grilli) che quello dei dipinti e delle vetrate (la prossima sarà quella con la Natività su disegno di Paolo Uccello) della Cattedrale e l'intervento sulle formelle a losanga del Campanile di Giotto, opera di collaborazione tra l'Opificio e il personale specializzato dell'Opera, una squadra di eccellenti scalpellini che conducono un laboratorio, strutturato come una bottega rinascimentale, che si trova in via dello Studio e che davvero vale la pena di visitare.


 
Immagine: un particolare della Porta della Mandorla, Firenze, Duomo, 1391-1421
Torna all'inizio