Per Carlo
Ludovico Ragghianti
di Emanuele
Pellegrini
Federico
Zeri, tra le molte sue doti, era e rimarrà celebre per quel suo
stile asciutto e per la repentina lucidità di alcune sue affermazioni.
Una delle più pregnanti fu sicuramente quella con la quale qualificò,
commemorandone la scomparsa, Carlo Ludovico Ragghianti: genio emarginato.Un'emarginazione
dovuta ad una sinergia di fattori diversi, purtroppo in alcuni casi, come
spesso occorre, non attinenti problematiche o divergenze di ordine scientifico;
ma si trattò di un'emarginazione profonda, effettiva, quasi una
Entfremdung, il cui retaggio filtra fino ai nostri giorni, ad oltre quindici
anni dalla scomparsa. Un isolamento che stride con la connotazione di
genio che Zeri aveva cucito addosso a Ragghianti e che certo ad oggi non
teme smentite di sorta.
Nella straordinaria ampiezza di interessi è possibile riconoscere,
in ultima analisi, la qualità prima di Ragghianti. Ma forse proprio
questa molteplicità di ambiti di ricerca ha reso più ardua
l'individuazione del metodo che stava alla base di ogni singolo scandaglio
critico di Ragghianti, di quel primum movens in grado di ribaltare radicalmente
quadri interpretativi comunemente acquisiti (si trattasse di Mondrian
o della pittura pompeiana), spesso superficialmente e passivamente individuato
nell'adesione alla filosofia crociana, ignorando invece la radicale svolta
nel pensiero dello studioso collocabile ai primi anni cinquanta, nonché
la sua continua e profonda evoluzione. Dalla difficoltà di ridurre
ad uno schema classificatorio l'intensità di questa ricerca intellettuale
può essere discesa tanta parte di quei disagi di natura intellettuale,
percettiva, che ancora oggi rendono difficoltoso il considerare l'opera
di Ragghianti. Ogni sua singola pagina esula dalla trattazione tematica
specifica per ampliarsi su orizzonti inaspettati; Ragghianti ha il pregio
di mostrare delle strade lunghissime, non battute e soprattutto senza
traguardo. Ciò rende i suoi scritti un monumento ancora vivo, capace
di prescindere dal singolo dato fattuale, che lega alla contingenza, e
di sollevarsi a sistema metodologico originale fino ad arrivare a costituire
uno dei contributi fondamentali - perché innovativi e se si vuole
anche difficilmente riconducibili ad esperienze pregresse in ambito storico-artistico
- alla scienza della visione di tutto il Novecento.
Un convegno organizzato nei giorni 21-23 ottobre 2002 da Raffaele Bruno,
all'interno dell'attività del laboratorio di filosofia dell'Università
di Cassino, ha dato la possibilità di approfondire numerose sfere
applicative del pensiero di Ragghianti, sì come ha permesso di
analizzare di nuovo alcune sue vicende biografiche, due ambiti che non
vanno mai disgiunti nello studio di questo personaggio. Ripartendo le
giornate del convegno in sezioni di lavoro a carattere tematico - la critica,
le arti figurative, il problema del museo, la cultura e la politica -,
il convegno è riuscito a proporre nuovi spunti di riflessione,
che hanno arricchito specialmente i momenti di dibattito susseguenti le
singole relazioni, rimettendo in circolo acquisizioni, anche metodologiche,
per lo più neglette, ma di cui sarebbe opportuno vagliare nuovamente
la non sopita operatività. Fondamentale, in questi frangenti, la
testimonianza di molti degli allievi o collaboratori di Ragghianti presenti
in qualità di relatori al convegno (Baldini, Caleca, Dalli Regoli,
Pierotti, Testi Cristiani, Zanobini, per citarne solo alcuni), in prima
persona capaci di far fronte alle molte sollecitazioni emerse dalla discussione
e soprattutto spesso in grado di arginare con sano pragmatismo quel senso
di spregiudicata deriva interpretativa che in qualche occasione si era
trascinata fino a forzare i confini del pensiero di Ragghianti stesso.
Un'iniziativa pregevole, dunque, che, se sommata alla ormai decennale
attività delle due più importanti istituzioni fondate da
Ragghianti, l'Università Internazionale dell'Arte di Firenze e
la Fondazione Ragghianti di Lucca - alla cui cura si deve la mostra a
carattere documentario allestita nella sede del convegno ed aperta al
pubblico durante la sessione dei lavori - denota un tentativo concreto
di porre rimedio a quell'incontestabile emarginazione cui Zeri aveva fatto
riferimento. Importanti segnali erano arrivati anche da Pisa - da cui
Carlo Ludovico Ragghianti, a partire dai primi anni settanta, era stato
e si era volutamente allontanato - con l'importante mostra sulla collezione
di Sebastiano Timpanaro, nella cui realizzazione così come nel
catalogo, emerge chiaramente il riconoscimento di alcune fondamentali
aperture di Ragghianti su ambiti di ricerca non frequentati, di cui è
oggi possibile proporre una nuova meditazione ed una proficua prosecuzione.
Ma a ben vedere, ponendosi in una prospettiva più generale, la
pregevole iniziativa dell'Università di Cassino occupa un proprio
rilevante spazio all'interno di tutta una serie di iniziative che recentemente
sono state promosse con l'obiettivo di illuminare il pensiero dei grandi
storici dell'arte italiani della generazione post-adolfoventuriana: dal
convegno Giulio Carlo Argan. Progetto e destino dell'arte, tenuto a Roma
dal 26 al 28 febbraio, alla mostra Da Renoir a De Staël. Roberto
Longhi ed il moderno, attualmente in corso a Ravenna.
Che spetti poi a nuove generazioni di intellettuali di sondare, vagliare
ed in un certo senso ripercorrere i sentieri spesso così tortuosi
di questi grandi maestri è cosa ad un certo punto persino naturale,
soprattutto per coloro che ne hanno ricevuta luce per interposte persone,
a cui va il merito - contingente e biografico ancor prima che critico
- della iniziale elaborazione e trasmissione di così tanti dati
e suggestioni.
Altrimenti, a vederla con Füssli, ci troveremmo ridotti a piangere
al fianco di enormi e disarticolate rovine, simbolo di un dialogo lacunoso
ed interrotto.
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