Per Luigi Spezzaferro. Quando la Bellezza è un valore.

di Isabella Colucci

Ricordare Luigi Spezzaferro è, per me, impresa davvero improba. Mi è quasi impossibile affidare il ricordo del “Professore” a episodi specifici o avvenimenti particolari, tanti sono stati. Per quindici anni e in modi diversi, ho avuto il privilegio di essergli vicina. Con ossequio e soggezione, quando con lui mi sono laureata. Con riconoscenza e gratitudine, quando di lì a poco pubblicai il primo articolo, non senza il suo severo ausilio. Con devota partecipazione, quando mi “elesse” tra i suoi collaboratori. Con stima paritaria e consapevole orgoglio di appartenenza alla sua scuola, col sopraggiungere dei primi tangibili riconoscimenti scientifici e professionali. Per tre lustri le frequentazioni con il mio maestro sono state assidue, i contatti giornalieri, gli scambi di idee quotidiani: alla base, una mia illimitata fiducia in lui, generoso mentore di orizzonti sconosciuti e panorami insospettati, costante sprone a leggere la realtà con maggiore attenzione, migliore ambizione e sottigliezza. Non esiste penna che potrebbe aiutarmi nel restituire un ritratto icastico della sua caleidoscopica personalità intellettuale. Mi limiterò allora a sottolineare quegli aspetti – per me più significativi – che tanta parte hanno avuto anche nella sua figura di docente e studioso: il pensiero divergente, l’autenticità umana, la generosità intellettuale.
Testimonianza concreta della sua autonomia di pensiero sono gli innumerevoli contributi che, nel loro insieme, partono da una comune matrice: intraprendere strade innovative, indicando antitetici ed inesplorati percorsi di ricerca nel tentativo di analizzare nella loro concretezza l’intessersi di relazioni, rapporti, accadimenti, ossia quelle diverse componenti che – dialettiche, parallele, tangenti o convergenti – incidono storicamente sulla produzione e sulla fruizione dell’opera d’arte. In primo luogo, gli studi sulla committenza, sul collezionismo e sulla produzione e ricezione della cultura artistica dal XVI al XVIII secolo: vorrei ricordare in particolare Il recupero del Rinascimento (1981) e le fondamentali pubblicazioni, da lui curate, Geografia del collezionismo: Italia e Francia tra il XVI e il XVIII (2001) e Mercanti di quadri (2004), oltre agli interventi sui Carracci (I Carracci tra naturalismo e classicismo, 1982; I Carracci e i Fava: alcune ipotesi, 1984), Mola (Pier Francesco Mola e il mercato artistico romano: atteggiamenti e valutazioni, 1989), Domenichino (Le contraddizioni del metodo. La pittura perfetta del Domenichino, 1996), Mattia e Gregorio Preti (Mattia Preti tra immagine letteraria e realtà documentaria, 1999; Per Gregorio Preti: qualche riflessione e alcune ipotesi, 2004).
Con la tenacia di una talpa ma con l’occhio attento del più esperto filatelico, tornava a distanza di anni sui medesimi argomenti, segno della sua instancabile passione per la ricerca: a titolo di esempio, il recentissimo contributo apparso nel catalogo Siena e Roma. Raffaello, Caravaggio e i protagonisti di un legame antico (2005), laddove analizzava e ampliava le vicende culturali ed artistiche della chiesa di Santa Caterina in via Giulia, sviluppando quei temi che già aveva affrontato nella sua prima opera Via Giulia. Una utopia urbanistica del ‘500 (1975). Realizzata in collaborazione con Luigi Salerno e Manfredo Tafuri – suoi maestri dopo Giulio Carlo Argan – tale pubblicazione è ancora oggi pietra miliare nell’ambito degli studi sull’architettura e l’urbanistica romana del Cinquecento, oltre ai tanti e significativi apporti tra cui, sempre a titolo di esempio, citerei Place Farnèse: urbanisme et politique (1981) e i reiterati interventi sulla Roma di Sisto V (1983; 1991).
Last but not least, gli studi su Caravaggio, che gli valsero la definizione limitativa di ‘caravaggista’. Troppo copiosa la bibliografia per citarla in questa sede: vorrei ricordare in particolar modo La cultura del cardinal Del Monte e il primo tempo del Caravaggio (1971), primo contributo al quale sempre è stato legato anche perché frutto delle ricerche eseguite per la tesi di laurea con Argan. Poi le pubblicazioni sui rapporti Michelangelo Merisi-Ottavio Costa (1974; 1975); i ripetuti interventi sulla pala dei Palafrenieri (1974; 1998), e quelli sui “presunti” rifiuti caravaggeschi (1980; 2001).  Infine quelle Conclusioni agli atti del convegno Caravaggio e l’Europa che, paradossalmente, non è riuscito a terminare, ma che verranno pubblicate postume laddove la sua penna si è improvvisamente interrotta. Ancora una volta Gigi ha tracciato nuovi sentieri, lasciandoli – in questo caso – ancor più aperti.
Non vorrei procedere oltre sondando ancor più la produzione scientifica del “Professore”, né tanto meno gettare le basi per un processo di santificazione, a lui non certo gradito. Papa Re sì, ma santo proprio no! Essere santo non lo interessava minimamente, tant’è che non perdeva occasione per ribadire la sua autenticità umana, aliena da ogni tentativo di dissimulazione al punto di mostrare intenzionalmente l’aspetto meno opportuno di sé. Ognuno di noi potrebbe facilmente riconoscere il Gigi (apparentemente) “pasoliniano” in quell’uomo imponente che – scoppola blu in testa, sciarpa rossa al collo, stretta la pancia, quasi un globo terracqueo, in un trench beige – faceva scattare gli allarmi dei musei, o almeno i rimbrotti di solerti custodi, nel tentativo del tutto comprensibile di osservare meglio un’opera esposta. Oppure in quella persona che, noncurante delle regole, osava rispondere al trillo nervoso del cellulare nel silenzio partecipe e ossequioso di un convegno, di una biblioteca, di un archivio. Chi poi – non solo tra coloro che si interessano d’arte – non ha avuto modo almeno una volta di assistere, in situazioni ufficiali e non, ai suoi interventi, oppure a semplici conversazioni, sempre comunque connotati da toni accesi, pungenti, impetuosi? Queste immagini ora ci potrebbero forse far sorridere. Ma di certo erano sempre quei modi veri ed efficaci, schifanti del velleitarismo che, uniti alla sua fede politica fattiva e pragmatica, prendevano forma nell’impegno civile concreto: valga l’esempio di quando, in qualità di Preside del corso di laurea in Storia e conservazione dei beni artistici all’Università della Calabria, invitò ad intervenire all’apertura dell’anno accademico il Procuratore Nazionale Antimafia Pier Luigi Vigna. Un segnale forte, deciso, forse rischioso, che rispondeva ad un progetto che non era solo culturale, quanto anche politico. Perché la conoscenza, si sa, è uno strumento pericoloso. Così come lo è la Bellezza. Ed è per questo che con grande generosità intellettuale Gigi ci insegnava a riconoscerla, apprezzarla, amarla, difenderla, non solo e non tanto trasmettendoci il sapere “con passione”, quanto piuttosto educandoci a distinguere “la passione” che è in noi, e a diventarne consapevoli.
Questa era la carta vincente che ne faceva un grande Maestro.
Da parte mia cercherò di portare avanti con onestà intellettuale gli insegnamenti che mi ha trasmesso in quindici anni di alunnato e collaborazione. E di non dimenticare mai la sua profonda integrità morale nel fare questo bel mestiere: lo storico dell’arte. 
Ma forse, nel restituire questo pur parziale ritratto di Gigi Spezzaferro, qualche buon pennello potrebbe aiutarmi ad esprimere meglio ciò che la mia scrittura non è stata in grado di fare: voglio allora ricordare la sua incomprimibile energia attraverso una delle tante versioni de L’eruzione del Vesuvio di Wright of Derby; la sua ironia, volutamente ammiccante, con quella che trapela da alcuni quadri di Angelo Caroselli; la sua vitalità primigenia similmente espressa da I fauni funamboli delle Antichità di Ercolano.
Piroetta Gigi, lieve, su quei festoni intessuti con foglie d’alloro.


J. Wright of Derby, Eruzione del Vesuvio, 1774


A. Caroselli (1585-1653), Vanitas


G. Morghen-J. D. Fiorillo, una tavola delle Antichità di Ercolano, 1744-1792

Fauni Funamboli


Ciao Prof….Ciao Gigi!

di Anna Cipparrone

Ci sono notizie che lasciano inermi, notizie che non consentono di vedere “il lato positivo”, notizie per le quali più passano i giorni più ci si aspetta un “finale alternativo” che però non arriva mai…
La scomparsa del Professor Luigi Spezzaferro (…Gigi! E mi perdoni se anche io lo chiamo così abbandonando per un momento il timore reverenziale che mi lega a lui) è stata una notizia improvvisa ed ineluttabile. Tuttavia la cosa ancora più terribile è stata, per me, il non poterlo salutare un’ultima volta durante la commemorazione funebre, il non poter condividere con chi lo amava il dolore della sua perdita, il non poter ricordare i suoi “tratti tipici” con chi lo conosceva, nella speranza di mantenerlo sempre vivo.
Le notizie improvvise sono sempre destabilizzanti, ancora di più se riguardano la scomparsa di qualcuno che con il suo carisma e la sua forza aveva assunto il ruolo di “punto di riferimento”. Il mio rapporto con il Professor Spezzaferro ha attraversato fasi ben differenti in un continuo crescendo poiché lui impersonava, con la sua vulcanica e coinvolgente poliedricità, la figura del Professore severo e intransigente, dell’inaspettato confidente, la persona il cui nome è ancora oggi scritto in tutte le mie pagine, colui il quale scioglieva un dubbio o dava una conferma, non già regalando soluzioni ma soltanto stimolando la mente con le sue eccezionali conoscenze.
Quando scompare qualcuno così ricco e così generoso, per chi resta, l’unica cosa da fare è raccoglierne i frutti: insegnamenti, ironia, capacità di critica e anche qualche esagerazione. L’ultima cosa che vorrei, e l’ultima cosa che vorrebbe il Professore, è scrivere una memoria strappalacrime solo perché è costume che la commemorazione di una persona scomparsa avvenga in questi termini. Già lo sento il Prof che dice: “Ehmbè… e che stiamo a fà qui? Ce stiamo a piagne addosso? Ce stiamo a dà arie da damigelle dell’Ottocento? Mettemose a lavoro anziché fà ‘e ragazzine sssttupide e cerchiamo di impegnarci 'na vorta tanto!”.
Chi conosceva il Professor Spezzaferro finiva spesso col temerlo eppure, sebbene non fosse facile da affrontare, era una persona che conosceva il dolore, il sapore delle scomparse premature e che aveva la sensibilità per sostenerti, spronandoti ad andare avanti, qualora provassi quelle stesse terribili sensazioni.
La nostra conoscenza risale al 1999, quando, a Cosenza, nacque il Corso di Laurea in Conservazione dei Beni Culturali al quale io mi ero iscritta. Il Professore aveva allora unito un gruppo di docenti che oggi costituiscono il nucleo forte e preparato del Dipartimento di Storia delle Arti della mia città e, credendo nella validità di un progetto con convinzione e caparbietà, aveva contribuito alla crescita dell’Università. Ma non credo sia stato facile. Il primo anno la confusione era dominante; eppure la sua passione e, soprattutto, le sue urla hanno reso possibile il conseguimento di un obiettivo importante che ha abbracciato, per qualche tempo, anche la Sovrintendenza di Cosenza ed una serie di progetti ad ampio raggio.
Decisi di seguire il suo corso in Storia dell’Arte Moderna durante il primo anno di Università e, durante la prima lezione sul “kalòs kai agathòs”, mi sono innamorata di lui e del suo straordinario e iniziatico potere dialettico. La verità è che non avevo capito nulla della lezione, o meglio, non era stato facile capire che ogni sua frase criptica e inizialmente senza connessione con il resto, era il singolo tassello di un discorso ben profondo che, solo negli ultimi cinque minuti, magari con una parola-chiave, illuminava tutto il senso della lezione, quasi come un’epifanica apparizione caravaggesca. Fu allora che il mio obiettivo divenne averlo come relatore di tesi e come maestro e fu da quel momento che, dopo ogni lezione, tornavo a casa come se avessi scalato una montagna: stanca ma realizzata!
In principio era solo il terrore del Dipartimento, capace di far gelare l’aria al suo passaggio, eppure quando mi chiamava “‘a Pivot” solo per la mia altezza…ogni ansia scompariva con l’orgoglio di essergli rimasta impressa alimentando il mio spirito di sacrificio per l’impresa “tesi”.
Duro sì, da far paura anche, ma era una persona buona ed onesta!
Mentre il Corso di Laurea cresceva, cresceva anche la stima dei ragazzi nei suoi confronti; tutti chiedevano consiglio a lui, anche se prima di entrare nel suo studio dovevano prepararsi psicologicamente! Ma tutti iniziavano a capire che il Professor Spezzaferro era un mito! Un uomo capace di parlare dell’universo intero anche davanti alla domanda più banale; un uomo capace di urlare furibondo, diventando rosso e sbattendo pugni sul tavolo, per poi muovere quel suo labbrone e farti capire che non era davvero arrabbiato…beh quando lo era realmente però…c’era da aspettarsi un brutto quarto d’ora!
Pur non essendo questa la sede per ricordare episodi personali, ce ne sono alcuni che fanno parte del patrimonio di ricordi di chi lo ha avuto come maestro, e che facilmente sorriderà leggendo queste parole che lui mi ripeteva ogni qualvolta mi richiamava all’ordine per le correzioni della tesi (a volte anche strappandone le pagine): “E mò? Nun me di’ che te metti a piagne? Te cchè voi fa…’a storica dell’arte o ‘a maestrina de scola?”.
Non è mai successo davanti a lui (se non per motivi esterni allo studio) ma le sue reazioni hanno spesso causato grande sconforto eppure non ho mai smesso di ammirarlo, mai una critica seppure in molti (non comprendendolo nel profondo) mi dicessero di desistere. Credo che la fiducia e l’affetto a volte siano più forti di qualsiasi batosta e di qualsiasi scenata; è per questo che sono andata avanti e ne sono felice. Col tempo il Professore si è mostrato sempre più “padre”, sempre più “amico” lasciandosi andare anche a sue confidenze personali, a scherzi e ad un rapporto di stima e reciproco affetto!
Purtroppo adesso non c’è più e per molte persone viene a mancare un saldo punto di riferimento e un amico fidato; l’inizio e la fine di tutte le ricerche, la persona a cui chiedere consiglio quando sul computer si affiancano dubbi e intuizioni; la persona da chiamare prima di ogni esperienza e dopo; la persona per la quale lo stimolo a dare sempre il massimo si accompagnava alla seria paura della sua reazione e, soprattutto, colui il quale sapeva simpaticamente mettere in risalto tutti i tuoi difetti!
Spero che, come me, lo ricordino bene, ma soprattutto per sempre, tutte le persone che lo hanno conosciuto perché ciascuna sarà capace di raccoglierne i ricordi tra una lacrima e, ne sono sicura, anche tra molti sorrisi.

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