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Beni culturali. Riflessioni sopra le recenti proposte della Regione Toscana.

di Veronica Carpita

Al clima di fermento che, dall'istituzione della Patrimonio SpA (15 giugno 2002) fino all'entrata in vigore del nuovo Codice Urbani sui beni culturali e paesaggistici (1 maggio 2004), ha coinvolto volente o nolente, allarmata o rassegnata, molta parte dell'opinione pubblica, la Regione Toscana ha reagito proponendo due obiettivi: la "Carta dei vincoli" e un progetto di autonomia speciale.
La cosiddetta "Carta dei vincoli", attualmente in fase di completamento, venne presentata nel luglio 2003 e inserita nel Piano d'indirizzo delle attività e dei beni culturali 2004-2006 (L.R. 14/95 e successive modificazioni). Approvata in via preliminare dalla Giunta Regionale nella seduta del 4 agosto 2003, la "Carta" consiste in una banca dati dei vincoli archeologici, paesaggistici e monumentali, realizzata in collaborazione con le Soprintendenze con un software appositamente progettato. La "Carta dei vincoli" è stata realizzata grazie alla georeferenziazione, ovvero una mappatura di tutti i vincoli imposti dalle Soprintendenze sugli immobili e sui siti archeologici o paesaggistici di valore artistico, storico o culturale. I vantaggi sono molteplici: la mappatura evita sprechi di energie, tempo e denaro alle singole amministrazioni in fase di redazione dei Piani strutturali; l'archivio informatizzato garantisce una consultazione molto più rapida ed efficace dell'archivio cartaceo; le informazioni dei vincoli regionali sono accessibili a tutte le Soprintendenze che hanno così potuto riunire i loro archivi; l'aggiornamento può essere continuo nel tempo e condiviso dagli utenti.
All'indomani dell'istituzione della Patrimonio SpA, dell'approvazione del Codice Urbani, e del silenzio-assenso, l'opinione dell'Assessore alla Cultura della Regione Toscana Mariella Zoppi è che la realizzazione di questa mappatura dei vincoli della regione potrà essere uno strumento efficace in mano alle Soprintendenze per far fronte alla dismissione del patrimonio culturale. Se la messa a punto di analoghi progetti di catalogazione dei beni culturali e di mappatura dei vincoli sul territorio costituisce un lodevole impegno della regione in quanto necessario presupposto conoscitivo di ogni attività di valorizzazione e soprattutto di tutela, d'altro canto proprio quest'ultima incarna il secondo ambìto obiettivo dell'ente.
È noto infatti che la Regione Toscana, che come le altre regioni a statuto ordinario esercita la potestà legislativa in materia di valorizzazione del paesaggio, dei beni culturali e ambientali (Decreto legislativo n. 112 del 1998), ha presentato una proposta di autonomia speciale per i beni culturali e paesaggistici della Toscana che contemplerebbe il trasferimento alla Regione di ogni attività di tutela (fino ad oggi di esclusiva pertinenza statale). Il già citato Decreto legislativo n. 112 del 1998 che disciplina il "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali" ha scisso le due materie "tutela" e "valorizzazione", appartenenti fino a quel momento alla legislazione esclusiva dello Stato, conferendo la seconda alle Regioni. Il decreto, molto criticato per le disfunzioni amministrative che comporta, sembrava l'estremo sviluppo della politica del decentramento amministrativo incentivata tanto dalla destra quanto dalla sinistra. Infatti la cosiddetta Legge Bassanini (capo I, legge 15 marzo 1997, n. 59) non ammetteva il conferimento alle regioni e agli enti locali delle funzioni statali riconducibili alla "tutela" del patrimonio culturale.
Un deciso ribaltamento della situazione è stato segnato dalla riforma del Titolo V della Costituzione (Legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001). All'art. 116 comma 3 è prevista infatti la possibilità per le regioni a statuto ordinario di richiedere "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia" in materia, fra le altre cose, della "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali". La Regione Toscana è stata la prima a decidere di avvalersi di questa possibilità elaborando, con la consulenza del giurista Marco Cammelli, un progetto di autonomia speciale che la Giunta ha presentato nel maggio 2003 al Consiglio regionale. Questi in sintesi i motivi e gli scopi dell'iniziativa: la quantità e qualità del patrimonio storico-artistico della Toscana necessita di forme complesse di coordinamento; il rapporto Stato-Regione non ha fatto passi avanti sul piano di una reciproca cooperazione, ma al contrario ha conosciuto una crescente distanza. A ciò si lega la preoccupazione della dismissione del patrimonio culturale pubblico, oramai considerato un "correttore della finanza pubblica"; così, le iniziative di matrice regionale sono cresciute e si sono via via radicate nel territorio, svolgendo in qualche caso un ruolo di supplenza là dove lo Stato è apparso carente. In più, il trasferimento delle funzioni inerenti ai beni culturali, attualmente esercitate dallo Stato, alla Regione e agli Enti Locali, permetterà di ricomporre gli interventi (tutela, conservazione, valorizzazione e gestione) e i relativi poteri (potestà legislativa, funzioni amministrative, titolarità dei beni, personale, risorse finanziarie), e l'autonomia potrà contribuire alla formazione di un sistema toscano della cultura che si proponga come laboratorio progettuale di una politica culturale unitaria, articolata in processi che tendono a obiettivi di sistema e di stabilità.
Le ragioni addotte dai sostenitori del progetto di autonomia regionale sono in gran parte comprensibili e in alcuni casi condivisibili. Tuttavia esse sono state generate da una politica culturale governativa tanto della destra quanto della sinistra che ha portato a sviluppi sconfortanti per il nostro patrimonio nazionale e per gli operatori dei beni culturali. La posizione della Regione Toscana, che sicuramente sarà seguita da altre regioni nella sua iniziativa, è un correre ai ripari prima che la situazione precipiti nell'irreparabile e per questo a molti l'autonomia regionale potrà sembrare il male minore. Tuttavia credo sia lecito avanzare delle obiezioni di fondo a questo progetto di autonomia speciale: in una fase politica di progressivo decentramento delle funzioni e delle competenze statali che così condotta fa prospettare, a mio avviso, seri pericoli per l'esistenza dello stato sociale (vedi gli ambiti della sanità e dell'istruzione), affidare il patrimonio culturale alle regioni significherebbe un progressivo e inesorabile svuotamento del suo essere componente costitutiva dell'identità nazionale, qual è espressa nell'articolo 9 della nostra Costituzione. Inoltre, partendo dal dato che negli ultimi anni lo Stato ha progressivamente abdicato alle sue funzioni di tutela del patrimonio culturale, è stato carente negli investimenti e ha dimostrato di privilegiare i valori economici a quelli culturali, come si può pensare che le singole regioni attuino indirizzi culturali di senso decisamente opposto? Se ciascuna delle venti regioni italiane otterrà la piena autonomia in materia di tutela, conservazione, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale, potendone esercitare la potestà legislativa, potremo avere venti diverse nozioni di tutela, una per ciascuna regione. E ancora: se l'autonomia concessa alle regioni prevedrà, come è logico che sia, competenze esclusive in materia di gestione delle risorse finanziarie, come potranno garantirsi standard identici per tutte le regioni, da nord a sud? È di fronte a questo problema che la Francia, impegnata dal 1982 nel suo processo di decentramento, ha visto scoppiare un acceso dibattito alla vigilia della "grande braderie du patrimoine", cioè il passo finale che consentirà allo Stato di alleggerirsi dei costi di mantenimento del patrimonio nazionale. Il problema, infatti, è quello di garantire la qualità e l'omogeneità dei servizi offerti dalle regioni, cosicché non si verifichino disuguaglianze tra i cittadini dei diversi dipartimenti. Poiché il progetto di autonomia prevedrebbe il trasferimento dei dipendenti statali delle soprintendenze alla regione e del personale restante impiegato in musei, biblioteche, archivi, agli enti locali di riferimento (province o comuni), sarebbe molto utile valutare i casi esemplari delle regioni che già dal 1975 sono autonome, ad esempio la Sicilia. Credo si rivelerebbe molto sconfortante, per non dire frustrante come, in base al modello siciliano, i soprintendenti fossero eletti o rimossi dall'Assessorato regionale, cioè da una carica politica. Altrettanto pessima sarebbe la stagnazione delle carriere che inevitabilmente ne conseguirebbe: un soprintendente in Sicilia è nei ruoli della regione, senza possibilità di far carriera altrove.
Concludendo, il fulcro del problema non risiede nelle regioni ma nella politica culturale dello Stato stesso condotta negli ultimi anni. L'attuazione di un drastico decentramento, senza un sistema centrale "forte", non può far altro che collassare il sistema dei beni culturali. Dunque è per il recupero del profondo valore del nostro patrimonio nazionale che le forze politiche e culturali devono lavorare a livello governativo. Le regioni potranno impiegare le loro energie e risorse nel ruolo importantissimo della gestione del nostro patrimonio in un auspicato clima di collaborazione con lo Stato.

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