Italo Zannier
La fotografia in mostra
La prima esposizione di fotografie è stata quella dei dessins
photogénés di Hippolyte Bayard, il 24 giugno
del 1839 a Parigi, nella Salle des Commissaires Priseurs, in rue
des Jeuneurs; si trattava addirittura di quaranta immagini positive
su carta, ottenute con una tecnica tuttora misteriosa e, senza dubbi,
inventata prima che venisse reso pubblico il procedimento di Daguerre,
d'altronde ben diverso, come quello dei photogenic drawing di
Talbot, lungamente ignoto e infine coperto dal copyright .
Le immagini di Bayard, esposte all'interno di una mostra di beneficenza,
stupirono soprattutto gli artisti suoi amici, ma il risultato non interferì con
il procedimento di Daguerre, protetto dallo scienziato e deputato Arago,
che garantiva comunque un migliore effetto realistico.
Da quell'anno fatidico, il 1839, in cui si annunciava ufficialmente
al mondo l'invenzione della dagherrotipia, il 7 gennaio, la fotografia
troverà sempre maggiore spazio nelle esposizioni d'arte e di
scienza, anche in attesa di altri mezzi di diffusione, il passaggio
dall'originale alla stampa ad inchiostro: woodburytipia, collotipia, héliogravure , similigravure ,
zincografia, offset , rotocalco…, e oggi Internet, etc.
La riproduzione a stampa sostituì quindi via via l'immagine
in “originale”, ossia stampata su carta salata (Talbot si convinse
di avere risolto il problema dell'illustrazione, incollando i suoi
calotipi in album come The Pencil of Nature , in effetti il
primo fotolibro), poi all'albumina, quindi alla gelatina, al carbone,
alla gomma, all'olio, etc., offrendo però alla fotografia anche
altre, e parallele condizioni di conoscenza diretta, in primis le Esposizioni
dei Salons, a imitazione di quelli dedicati tradizionalmente
alla pittura.
Nell'Esposizione Universale di Londra al Crystal Palace del 1851,
alla fotografia venne dedicato un ampio e autorevole spazio; la sua
presenza in mostra venne persino sublimata, quando giunse la notizia
della morte di Daguerre.
Dopo la prima rassegna di Bayard, va ricordata la mini-mostra di Daguerre
alla Camera dei Deputati di Parigi, nel luglio 1839, dove “ognuno ammirava
la prodigiosa finezza delle infinite parti onde son piene le tavolette
rappresentanti le contrade di Parigi, i più minuti accidenti
del suolo e degli edifizii, le merci ammucchiate sulla ripa, gli obbietti
più delicati, i ciottoli sotto l'acqua presso alla sponda (della
Senna, n.d.a.), e i vari gradi di trasparenza ch'essi danno all'acqua,
ogni cosa è riprodotta con incredibile esattezza; ma lo stupore
si raddoppia quando, coll'aiuto della lente, scopresi un'immensa quantità di
tenuissimi particolari sfuggenti ad occhi eziandio di lince…”.
Nel dicembre del 1839, a Gottinga, “il sig. O'Schaugnessy si occupa
di perfezionare il modo di ricavare gli oggetti per mezzo della luce”,
ed espone i suoi capolavori; “grande porzione del pubblico di Gottinga – si
narra in una cronaca del tempo –, ebbe occasione in quei giorni di
persuadersi delle prerogative di tali disegni, essendone stati esposti
parecchi, col confronto di quelli del sig. Daguerre, in una pubblica
esposizione di arti fattasi a beneficio dei poveri della città…”.
A Milano, invece, senza pensare alla beneficenza, l'ottico e pioniere
Alessandro Duroni, già il 27 novembre del 1839 mostrava i suoi
risultati al dagherrotipo, tra cui l'immagine del Duomo ripreso da
una terrazza a lato della Chiesa dei Servi.
L'esposizione nella Galleria Decristoforis mostrò “il disegno
daguerreotipico, primo di questo genere che Milano possieda, ed ognuno
lo può esaminare a bell'agio – osservò con entusiasmo
il cronista del giornale “La Moda” –, offerto alla vista degli spettatori
mediante una lieve retribuzione…”.
Per la prima volta si pagò allora un ticket all'ingresso
di una mostra di fotografia, in attesa del business delle
rassegne dei Cartier-Bresson, Capa, Mapplethorpe, Avedon…, con la massima
soddisfazione degli editori (per la vendita proporzionale del catalogo)
e degli assessori.
Ancora in Italia, tra le altre, va ricordata l'esposizione a Trento,
in Biblioteca (la nota di cronaca è del 25 dicembre 1839), di “una
lastra di rame inargentata, che già da tre giorni si trova esposta
nelle sale di questo Istituto di Lettura per soddisfare il desiderio
dei curiosi”.
Insomma, da allora la fotografia occupò sempre di più gli
spazi espositivi, anche quelli dedicati alla pittura, infiltrandosi
nella tradizione dei Salons e delle Esposizioni, con crescente
interesse e curiosità del pubblico, sia per la fotografia “artistica” (il
pittorialismo enfatizzò questo aspetto, basti ricordare la grande
rassegna di Torino del 1902, dove per la fotografia venne addirittura
fabbricato un padiglione su progetto dell'architetto allora più alla
moda, Raimondo D'Aronco!), sia per quella scientifica, dall'astronomia
alla cronofotografia, e alle immagini ad “alta velocità”.
La fotografia di un proiettile “fermato in aria” alla velocità di
seicento chilometri al secondo, venne segnalata con entusiasmo dai
giornalisti in visita alla Esposizione di Milano del 1894.
La storia della fotografia è fortunatamente segnata, per molti
aspetti filologici, proprio dalla sua presenza nelle grandi Esposizioni
europee e americane, nei cui cataloghi è possibile rintracciare
la presenza, e l'esistenza di autori e opere altrimenti obsolete o
distrutte dal tempo e dall'incuria.
Però, la curiosità suscitata dalla fotografia, anche
in senso tematico (immagini di animali, d'arte, viaggi, architettura,
paesaggi, personaggi, scene di genere…) nelle esposizioni storiche,
ha portato via via a comprendere anche gli aspetti più nascosti
della cultura di questo genere d'immagine, tendenzialmente intesa soprattutto
dal punto di vista iconografico, quindi nelle sue espressioni creative,
estetiche, poetiche, persino misteriose, altrimenti prima sconosciute.
Nel Novecento la fotografia assunse sempre di più un ruolo
anche competitivo nei confronti della pittura, e divenne infine indispensabile – con
il suo convincente, persuasivo realismo –, come elemento di promozione,
sia commerciale che politica; Mussolini, non a caso, fondò il
LUCE nel 1924, e la grande esposizione del 1932 a Roma per il Decennale
della Rivoluzione Fascista sembrò la sagra della fotografia,
utilizzata in tutte le dimensione e tipologie, soprattutto con il contributo
retorico del fotomontaggio.
Senza la fotografia, come si poteva mostrare il “progresso” dell'Italia
nel Decennale?
Nel secondo dopoguerra, furono gli americani a riprendere in dimensione
monumentale questa tipologia espositiva, con la grande rassegna progettata
da Edward Steichen per il MoMA di New York, The Family of Man (503
immagini, scelte tra oltre un milione, di 68 paesi), una mostra per
decenni itinerante nel mondo, con il suo influente messaggio umanitarista.
Giunse in Italia nel 1955, e fece oltretutto conoscere le emergenze
storiche mondiali, soprattutto i reportages dei fotografi della F.S.A,
e della Magnum, ma anche gli estetismi di Weston o di Adams; fu una
bella lezione.
In Europa, Otto Steinert aveva a sua volta provveduto ad animare questo
settore anche con le rassegne, accompagnate da fondamentali cataloghi
di “Subjektive Fotografie”, con i cui suggerimenti si avviò un
altro percorso estetico e linguistico, in linea con il vecchio Bauhaus
di Moholy; a Milano, anche queste istanze vennero presentate per l'iniziativa
dell'Unione Fotografica, fondata da Pietro Donzelli nel 1951.
Centinaia di mostre vennero realizzate anche in piccoli paesi, nell'entusiasmo
della “scoperta” della fotografia: a Spilimbergo, dal 1952 una serie
di rassegne presentarono i maestri della nostra fotografia, coinvolgendo
amatori e professionisti, come in seguito a Sesto San Giovanni, storiche
rassegne collegate anche a convegni e dibattiti, mentre a Venezia,
a cura del Circolo “La Gondola”, con l'animatore Paolo Monti, venne
presentata la grande fotografia mondiale in memorabili rassegne.
Fu una riscoperta della fotografia come medium, oltre che come arte,
che influì nello storico “combattimento per un'immagine”, nei
confronti della pittura, come bene venne definito dal compianto Luigi
Carluccio, che su questo tema realizzò nel 1973, con Daniela
Palazzoli, una magistrale esposizione a Torino.
Nel 1957 alla Triennale venne presentata la collezione di Helmuth
Gernsheim, offrendo un'occasione unica di visione e studio dei capolavori
fondamentali della storia dell'immagine fotografica, da Niépce
e Talbot in poi; ma non venne capita l'importanza dell'evento da parte
delle istituzioni culturali, che allora addirittura rifiutarono la
donazione offerta dal grande storico Gernsheim all'Italia, lasciando
che quel tesoro varcasse poi l'Oceano, per giungere all'Università del
Texas, dove tuttora è amorosamente conservato.
Nel 1976 Lanfranco Colombo aprì coraggiosamente a Milano in
Via Brera la ormai mitica Galleria “Il Diaframma”, dove sono passati
in rassegne originali i più significativi autori, non soltanto
contemporanei, offrendo nel contempo un luogo di studio e di informazione
internazionale d'alto prestigio; fu anche questa una “scuola” fondamentale
per i nostri fotografi.
Ma la cosiddetta cultura ufficiale continuò a emarginare, fino
agli anni recenti, la fotografia, come fosse un prodotto di serie B,
relegando gli addetti in uno spazio, anche editoriale, underground .
In questo breve e incompleto excursus delle rassegne fotografiche,
tra quelle dell'ultimo dopoguerra, va segnalata in primis la
grande kermesse della fotografia mondiale, organizzata a Venezia nel
1979 ( Venezia ‘79 la Fotografia ), in una operazione finalmente
sostenuta da un organismo pubblico, l'Assessorato alla Cultura del
Comune, in collaborazione con l'International Center of Photography,
a quel tempo diretto da Cornell Capa a New york.
Nello stesso periodo, sempre con il contributo e l'intervento degli
Assessorati alla Cultura, vennero realizzate le prime esposizioni storiche,
con un intento esaustivo d'indagine filologica, sulla fotografia italiana
dell'Ottocento e sulla fotografia pittorica, tra Firenze e Venezia;
uno studio fondamentale, che aprì a successive integrazioni
e correzioni.
Con Venezia '79 La Fotografia , ventisei mostre impegnarono
tutti gli spazi disponibili a Venezia, dalle sale della Biennale a
quelle del Museo Correr, offrendo, anche in catalogo, un panorama quasi
esaustivo della storia della fotografia mondiale, dall'Ottocento al
contemporaneo.
Per la fotografia fu il più grande evento mondiale del secolo.
A Venezia, quasi di conseguenza, il Museo Fortuny venne delegato a
continuare questo processo culturale, soprattutto mediante rassegne
fotografiche, da quelle ottocentesche alle esperienze dell'avanguardia;
dalla mostra storica L'insistenza dello sguardo , allestita
per il centocinquantenario dell'invenzione, a Dialectical Landscape ;
quest'ultima rassegna, venne curata dall'indimenticabile Paolo Costantini,
con cui si avviò anche in Italia una “nuova fotografia”, tra
minimalismo e “post-modernismo”.
A Parma Arturo Carlo Quintavalle offrì uno spazio e un rigore
universitario anche alla fotografia, fondando il CSAC (Centro Studi
e Archivio della Comunicazione), presentando via via, con coerenti
cataloghi, eventi e protagonisti storici della fotografia, che ebbero
un significativo riscontro anche sui giovani fotografi italiani.
A Firenze, dopo la storica rassegna sull'Atelier Alinari del 1976,
curata da Wladimiro Settimelli, che destò l'attenzione generale
anche sull'importanza della fotografia come “bene culturale” e documento
storico, dal 1985 si aprì in Palazzo Rucellai uno spazio specifico
per la fotografia, il Museo di Storia della Fotografia Alinari, voluto
da Claudio de Polo, Presidente dell'Alinari, che nel frattempo ha raccolto,
conservato e tutelato un immenso patrimonio fotografico, recuperato
anche all'estero, e che attualmente risulta tra le maggiori collezioni
mondiali della fotografia.
In provincia si è cercato in vari luoghi di avviare ricerche
sulla microstoria della fotografia, integrando quindi l'archiviazione
e le iniziative didattiche con rassegne espositive, che spesso sembrano
il mezzo più idoneo per destare l'attenzione anche dei media
su questo genere espressivo; a Spilimbergo, opera da quindici anni
il CRAF (Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia), che in
questi lustri ha realizzato una serie di fondamentali rassegne sulla
fotografia non soltanto italiana, completate dalla pubblicazione di
vari volumi, avviando una utile pubblicistica sulla fotografia, che
sino a ora mancava, anche per la disattenzione degli organismi istituzionali,
persino delle biblioteche pubbliche, proprio mentre le Università,
invece, stanno finalmente integrando, con i corsi di Storia della Fotografia,
un vuoto culturale nella storia dell'arte e della cultura contemporanea
in generale.
Le esposizioni di fotografia, però, non vanno intese soltanto
come mezzo di conoscenza iconografica (“come eravamo”, “il buon tempo
antico”, etc.), ma nella valenza estetica e storica del medium ,
che è l'unico modo per leggere “tra le righe” ciò che
l'immagine offre e commenta mediante l'intelligenza dell'operatore,
ossia del Fotografo.
Il problema di fondo è tuttora quello avvertito con ansia mezzo
secolo fa dai pionieri di questo genere; credere alla fotografia come
evento culturale e non soltanto come mezzo “tecnico”, meramente illustrativo
e descrittivo.

L'ingresso ad una delle sedi della mostra Venezia ‘79
la fotografia
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