Elena Franchi
Dalla didattica delle mostre alla Mostra Didattica Nazionale
del 1925: la formazione dell'insegnante e il recupero di un patrimonio
storico dimenticato
“Nell'anno che volge si compiono in Italia avvenimenti artistici di
grande importanza, principalissimo quello dell'esposizione d'arte antica
a Siena, alla quale farà degno riscontro quella di Ravenna.
Seguiranno altre. Per la storia dell'arte, per gli insegnamenti da
trarre al fine di nobilitare l'arte nuova coll'esempio dell'antica,
per lo spirito nazionale che in virtù di simili mostre si affina
e si eleva, è utile che sieno visitate dai giovani.” Sono le
parole della circolare n. 37, 20 aprile 1904, con cui il Ministero
della Pubblica Istruzione invitava le scuole ad organizzare visite
a musei, gallerie, monumenti e mostre, accompagnate da “spiegazioni
intelligentemente adatte al grado di coltura dei giovani”.
Già nel 1896 un'altra circolare raccomandava la visita a monumenti
antichi, scavi e musei. Fra le due circolari era uscita quella, fondamentale,
del 20 novembre 1900, con cui il sottosegretario all'Istruzione Enrico
Panzacchi raccomandava l'insegnamento della storia dell'arte nelle
scuole secondarie. Con la Riforma Gentile del 1923 la storia dell'arte
entrerà ufficialmente nei licei classici e in quelli femminili.
Mario Martinozzi, artefice della prima sperimentazione di storia dell'arte
in Italia presso il Liceo pareggiato San Carlo di Modena, nel 1933
porterà la terza liceo a Ferrara a visitare la fondamentale
mostra sulla pittura ferrarese del Rinascimento e fra il 1935 e il
1936 organizzerà la visita alla mostra del Settecento bolognese.
La scelta delle gite da organizzare, degli itinerari da seguire, dei
musei e delle mostre da visitare era responsabilità degli insegnanti,
consapevoli della preparazione, degli interessi e del livello degli
allievi.
Niente di più lontano dalla possibilità attuale di delegare
tutta l'organizzazione delle gite scolastiche ad agenzie esterne alla
scuola, in grado di fornire pacchetti completi – e uniformi – comprensivi
di viaggio, soggiorno, pasti e visite guidate alle mostre ed ai musei,
indipendentemente dal tipo di scuola e dal livello di preparazione
degli studenti.
Esiste una fortissima richiesta di servizi didattici da parte di scuole
e pubblico, e la loro presenza presso le varie realtà espositive
aumenta in modo significativo il numero dei visitatori. Nella Cinquantesima
Biennale di Venezia sono stati realizzati 192 laboratori e 3.371 fra
bambini e ragazzi delle medie inferiori e superiori, con i loro genitori,
hanno partecipato ai percorsi didattici. Ma se in molti casi l'offerta è affidata
a operatori esperti e prevede anche incontri e percorsi riservati agli
insegnanti, in altri casi rimane in agguato il rischio dell'improvvisazione.
E quindi, ancora una volta, si deve poter contare sulla competenza
e l'esperienza dell'insegnante.
“La preparazione degli insegnanti è oggetto di cure e provvidenze
particolari. Vocazione, dottrina e chiarezza, onde il sapere si forma
e si tramanda, si consolidano e si affinano in centri didattici sperimentali,
in laboratori e musei scolastici, in Istituti di metodo annessi alle
principali Università, in corsi di tirocinio nell'esercizio
dell'assistentato.” È la XXIII Dichiarazione della Carta
della Scuola del 1939 di Giuseppe Bottai, ministro dell'Educazione
Nazionale dal 1936 al 1943, basata sul principio, espresso dallo stesso
Bottai, che non esiste rinnovamento della scuola senza formazione degli
insegnanti. Nasce così, nel 1941, il Centro Didattico Nazionale
di Firenze, mentre l'anno successivo saranno dieci (compreso quello
fiorentino) i centri didattici nazionali previsti per legge: luoghi – sono
ancora parole di Bottai – di “ricerca paziente”, come deve essere la
didattica, e non di “didattismo furente”. Ai centri didattici nazionali,
ognuno con la propria specializzazione, si sarebbero affiancati i centri
didattici provinciali, orientati verso ricerche comuni a tutti.
Questi centri – pensati come autentici laboratori della scuola – avrebbero
dovuto ravvivare gli studi di metodologia didattica, fornire alle varie
discipline scolastiche mezzi e materia di indagine, ispirare e favorire
metodi nuovi di insegnamento, promuovere corsi per famiglie e insegnanti,
non disperdere le migliori esperienze e far emergere le energie nascoste
del mondo della scuola: la preparazione culturale spettava quindi alle
università, quella professionale ai centri didattici.
Il materiale originario del Centro Didattico Nazionale di Firenze
proveniva dalla prima Mostra Didattica Nazionale , organizzata
a Firenze dal pedagogista Giovanni Calò nel 1925, intesa non
soltanto come una parata di oggetti ed elaborati di alunni e insegnanti,
ma soprattutto come un luogo di ritrovo e comparazione, di incontro
fra programmi e metodi, di incoraggiamento e monito, di celebrazione
e critica. Una sezione storica ospitava anche materiale proveniente
dalla collezione di Benedetto Croce; vi erano inoltre rappresentate
le scuole di ogni ordine e grado, quelle estere e quelle delle colonie,
quelle dell'agro, quelle per “anormali”, quelle carcerarie da istituire
presso tutte le case penali, le associazioni per la lotta all'analfabetismo,
alcune biblioteche e, fra le ditte, le Officine Galileo di Firenze
e i Fratelli Alinari, con materiale utile per l'educazione artistica,
storica e geografica e per l'ornamentazione dell'aula scolastica.
Il Comitato della mostra aveva infatti bandito anche tre concorsi
aventi come oggetto la decorazione della scuola e l'educazione estetica
del fanciullo: uno per progetti di edifici scolastici, un altro per
un dipinto con soggetto relativo alla vita infantile, il terzo, fra
le case editrici, per riproduzioni di opere d'arte da diffondere nelle
scuole.
Per evitare che tanto materiale andasse disperso si diede origine
al Museo Didattico Nazionale, con direttore Giovanni Calò, trasformato,
nel 1937, in Museo Nazionale della Scuola, inteso, ancora una volta,
come luogo di osservazione e di studio e fucina di lavoro. In seguito
all'invito rivolto alle scuole da alcune circolari ministeriali il
Museo aveva incrementato le proprie raccolte, e da Roma era giunto
anche il materiale proveniente dalla Mostra nazionale delle colonie scolastiche del
1935.
Il Museo sarebbe stato quindi inglobato, nel 1941, nel Centro Didattico
Nazionale, con sede definitiva a Palazzo Gerini. Al pianterreno era
esposta la mostra storica della scuola mentre il primo piano ospitava
il salone d'onore, la biblioteca, uffici e mostre temporanee; il secondo
piano era riservato ai vari ordini di scuole, con testi scolastici,
sussidi didattici, elaborati degli allievi e pubblicazioni varie. Altre
sale erano dedicate all'editoria per ragazzi, all'edilizia scolastica,
alle sperimentazioni didattiche e alla statistica, nel tentativo di
rispecchiare non soltanto gli aspetti migliori, ma la scuola nella
sua realtà, nei suoi progressi e nelle sue lacune.
L'architetto Giovanni Michelucci aveva curato tutto l'arredo del Centro,
realizzato da Gregorio Gori. Michelucci aveva studiato ogni particolare,
differenziando i mobili sia per adeguarli alle diverse funzioni, che
per armonizzarli con il carattere delle scuole e degli istituti a cui
le varie stanze, con decorazioni parietali a tema, erano dedicate.
La guerra impedì le attività del Centro che venne saccheggiato.
Negli anni Cinquanta, il piano terra era ancora occupato dalla storia
della scuola, mentre il primo piano era dedicato alla scuola secondaria
e all'istruzione tecnica, con esposizione di materiale didattico prodotto
dagli istituti (fra cui lavori in ferro battuto, in legno intarsiato,
in ceramica, un modello del motore di una nave prodotto dalla Scuola
nautica di Palermo, saggi di ritocco fotografico, raccolte di farfalle...),
e il secondo alla scuola materna ed elementare. Erano inoltre attive
la Biblioteca Pedagogica Nazionale e varie sezioni, fra cui quella
per l'educazione artistica e musicale, mentre una grande sala ospitava
i progetti e i plastici relativi al concorso per l'edilizia scolastica
all'aperto del 1949.
Con la trasformazione del Centro in Biblioteca di Documentazione Pedagogica,
negli anni Settanta, le sale del Museo vennero progressivamente smantellate;
dal 1999 la struttura ha assunto il nome di Istituto Nazionale di Documentazione
per l'Innovazione e la Ricerca Educativa (INDIRE).
Pochissimo rimane, oggi, degli oggetti del Museo, perduti, distrutti,
venduti. Ma i manuali scolastici, le ricerche, i quaderni, gli elaborati,
i disegni, gli album, i giornalini delle scuole, il ricchissimo materiale
bibliografico, documentario e fotografico è ancora in larga
parte presente nell'Istituto e, dal 2002, è stato finalmente
rivalutato da un giovane studioso, cultore della materia in Storia
contemporanea presso l'Università di Parma, ora responsabile
dell'Archivio Storico, Juri Meda, che, con gli scarsi fondi a disposizione,
sta cercando di promuovere un'attività di recupero, tutela,
valorizzazione e acquisizione di materiale storico didattico. Il progetto
ha preso avvio dal censimento nazionale dei fondi dei quaderni a cui è seguita
la creazione di una banca dati (tuttora in corso) relativa ai quaderni
stessi, catalogati sia dal punto di vista contenutistico che da quello
editoriale e iconografico, con attenzione rivolta anche agli illustratori
che si sono dedicati a questa attività. Altri fondi sono venuti
ad arricchire il patrimonio dell'archivio, con il deposito di Ottavio
Gigli, fondatore dei primi asili rurali fiorentini, e con la donazione
del fondo di Giuseppe Lombardo Radice da parte della famiglia. Ma il
lavoro ancora da svolgere è immenso e meriterebbe maggiore attenzione
anche da parte di fondazioni bancarie o enti privati.
In periodo di riforma scolastica, la storia della scuola può assumere
un rilievo particolare e può aiutare a dare un nuovo significato
al ruolo dell'insegnante, ormai in preda alla “sindrome dello scoppiato”, burnout
syndrome , e della scuola stessa, che non deve sfornare solo un
individuo dotato di competenze finalizzate ad un lavoro, ma una persona
in grado di leggere criticamente, capire e interpretare la storia e
la realtà.

Firenze, Palazzo Gerini (sede INDIRE), Biblioteca
Pedagogica Nazionale, Sala Michelucci. In questa sala di lettura sono
stati raccolti i pochi oggetti provenienti dallo storico Museo della
Scuola (Foto Lorenzo Calistri, Firenze). |