Francesco Paolo Fiore
Le mostre di architettura
Alle mostre di architettura è connaturata l'evidente contraddizione
di non poter trasportare e raccogliere in un solo luogo le architetture
alle quali sono dedicate, e in questo si differenziano innanzitutto
dalle mostre di dipinti, sculture o altri oggetti, che possono essere
raccolti nelle sale di un museo o di una galleria. Ciò a meno
che non si tratti di un insieme di architetture costruite con l'intenzione
di creare una mostra a cielo aperto, com'è avvenuto nel caso
di esposizioni universali o nel caso del Werkbund di Stoccarda o, se
si preferisce un esempio più recente, di alcune parti della
nuova Berlino, dove illustri architetti sono stati chiamati in un breve
arco di tempo realizzare diversi edifici l'uno accanto all'altro, partecipando
alla ricostruzione di parti della città perduta. Ma si potrebbe
argomentare che in quei casi non si è propriamente trattato
di mostre d'architettura, e che nemmeno esperimenti quali la Strada
Novissima realizzata in occasione della Biennale di Venezia (1980),
o itinerari prestabiliti all'interno di una città, o di una
regione, che uniscano idealmente più architetture individuate
sulla base di un programma di visita, si possono probabilmente considerare
tali. Nel caso della Biennale veneziana si è trattato infatti
di una scenografia di mere facciate, linguisticamente interessanti
ma prive della complessità funzionale, di contesto e della stratificazione
nel tempo che caratterizza le architetture reali. Nel secondo, garantita
la stratificata complessità del contesto, degli spazi e delle
fasi, manca viceversa l'unità di luogo che caratterizza la possibilità di
un diretto confronto fra quanto è esposto in una mostra.
Acquisito il punto, peraltro ovvio, che una mostra di architettura
non può essere formata, a meno di casi eccezionali, di architetture
reali, vanno quindi considerate le possibili vie alternative. La sostituzione
delle forme e degli spazi architettonici con fotografie e modelli,
tridimensionali o virtuali, è quella più immediata ed è stata
proposta in più di un'occasione. Tuttavia, se una mostra di
fotografie può soddisfare le esigenze di un programma espositivo
sotto l'aspetto didattico, essa non può soddisfare quelle dell'autenticità.
E ciò anche se l'interpretazione di architetture tramite immagini
fotografiche, o una serie di immagini fotografiche – anche storiche
-- può divenire un tema di grandissimo interesse. Inoltre, non è facile
giustificare l'impegnativo e costoso allestimento di una mostra piuttosto
che di un libro fotografico, con più o meno testo. Una mostra
fotografica d'architettura si giustificherà piuttosto se diretta
ad illustrare e ad attrarre l'attenzione su particolari aspetti dell'architettura
entro la quale è allestita, come strumento didattico, dunque,
a fianco o a commento di originali. Eminentemente didattica si può dire
del resto anche la mostra che si valga precipuamente di modelli tridimensionali,
originali ancorché non antichi, ma pur sempre parziali nel rendere
i valori spaziali e figurali dell'architettura alla quale si riferiscono.
Simili argomentazioni valgono ancora per le più aggiornate tecniche
di ricostruzione virtuale di volumi e di spazi, che si possono talora
persino virtualmente percorrere, ma con una tale riduzione della complessità percettiva
da rendere pur sempre problematica la comprensione delle parti e dell'insieme.
Con tutto ciò non si intende dire che mezzi di rappresentazione
dell'architettura quali fotografie, modelli tridimensionali e virtuali
vadano scartati o sottovalutati, ma solo sottolinearne i limiti. Limiti
che, proprio nell'ambito di una mostra, investono anche i disegni di
rilievo, strumenti indispensabili per la documentazione e la comprensione
degli edifici esaminati, ma non sempre parlanti al più vasto
pubblico. I modelli sono d'altro canto strumenti preziosi per proporre
ricostruzioni, restauri ideali o completamenti, sia di singole architetture
-- come quello di villa Madama realizzato ed esposto nella mostra Raffaello
architetto (1984) -- che di parti di città o addirittura
di città intere -- come quello di Roma al tempo del Nolli nella
mostra Roma interrotta (1978). Quanto alla valenza critica
di questi ultimi, la polemica accesasi in merito alla mostra di modelli
delle architetture di Palladio (1973), se fosse o meno opportuno ricostruirli
secondo le forme corrette e complete illustrate dall'autore nei Quattro
libri ovvero in quelle effettivamente realizzate, esemplifica
bene la problematica e l'importanza che essi possono assumere per la
loro capacità di colpire la fantasia dei visitatori. Ma non
bisogna a questo punto dimenticare che anche i disegni di progetto
venivano denominati “modelli” nei documenti delle antiche costruzioni:
la mostra veneziana Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo.
La rappresentazione dell'architettura (1994), espressamente dedicata
ai disegni e modelli antichi d'architettura, fra i quali il grande
modello di San Pietro (1539-1546) realizzato da Antonio Labacco su
disegno di Antonio da Sangallo il Giovane, ne ha fatto gli oggetti
di una ricchissima e credo irripetibile esposizione.
Siamo così entrati nel vivo della questione, vale a dire come
una mostra di architettura – dedicata alle opere di uno o più architetti,
una o più architetture o un periodo della storia dell'architettura – possa
essere realizzata garantendo l'autenticità degli oggetti esposti
e un diretto confronto fra loro secondo gli obiettivi della mostra:
il primo dei quali dovrà essere la comprensione delle architetture
stesse aperta ad un pubblico più vasto possibile, ma insieme
la ricostruzione storica dei passi che hanno portato alla loro realizzazione
ed eventualmente alla loro fortuna e modificazione nel tempo, entro
un contesto storico e artistico che coinvolge sempre numerosi soggetti
e diverse forme di espressione. Committenti e collaboratori, altre
personalità di architetti, ma anche di scultori e pittori, “scuole” e “botteghe” verranno
quindi chiamati in causa, né è raro il caso di architetti
allo stesso tempo pittori o scultori, che conduce ad un naturale confronto
fra le loro stesse diverse espressioni artistiche– si pensi a una serie
di mostre, da quella su Michelangelo (1964) a quella su Giulio
Romano (1989) o Francesco di Giorgio (1993). Una ricostruzione
storica dovrà inoltre occuparsi dei condizionamenti derivanti
da preesistenze, contesti urbani e paesistici, culto, uso, economia,
necessità costruttive e tecniche particolari, alle quali dare
un diverso peso in mostra a seconda dell'impostazione e del tema affrontato.
In breve, credo che una mostra d'architettura debba essere innanzitutto
il frutto di una ricerca storica capace di estendersi non solo alla
varietà molteplice della genesi e della vita delle architetture
in questione, ma anche alla cultura, alle idee sull'architettura e
alle invenzioni formali che le hanno generate. Di tale ricerca si potranno
esporre le testimonianze principali, e soprattutto quelli figurative:
i disegni e i modelli originali di progetto, se disponibili, le raffigurazioni
più vicine alla realizzazione in disegni e dipinti, e inoltre
disegni, dipinti o sculture dello stesso autore ovvero di altri artisti
dello stesso tempo e altre opere a confronto. Molto dipende, come è intuibile,
da quanto si sia conservato nei musei e nelle biblioteche e da quanto
sia disponibile, non escluse le ragioni economiche che governano trasporti
e assicurazioni, ma talvolta anche i prestiti. Una mostra, a differenza
di un libro, deve fare i conti con quanto si può realmente esporre.
Anche per questo non escluderei nulla di ciò che, a seconda
delle situazioni, permetta di tracciare i nessi più stretti
e dimostrabili con il contemporaneo ambiente artistico e storico, ivi
compresi gli originali di testi e documenti d'archivio accanto ai disegni
antichi. La presenza di disegni di rilievo e di studio realizzati per
la mostra e di modelli ricostruttivi, tridimensionali o virtuali, diverrà a
questo punto il corredo capace di guidare, insieme ad opportune e sintetiche
sintesi esplicative, i confronti fra i diversi materiali raccolti,
per ipotizzare e comprendere genesi, soluzioni e fortuna di quelle
opere, le architetture, che sappiamo necessariamente assenti.
La presente sintesi non vuole certo esaurire il tema, e preferirei
che venisse letta come resoconto di esperienze che dalla mostra di Raffaello
architetto (1984), dove i disegni antichi di architettura sono
divenuti protagonisti, sono giunte alle più recenti mostre sull'architettura
del CISA di Vicenza e a quella curata da chi scrive con un agguerrito
comitato di studiosi su La Roma di Leon Battista Alberti (Roma,
Musei Capitolini, giugno-ottobre 2005): tema non facile, anche perché necessariamente
esteso alla città. Accanto alle architetture antiche di Roma
che furono fonte per le osservazioni e gli scritti di Alberti, illustrate
attraverso parti marmoree e dei primi quattrocenteschi, sono stati
posti codici e incunaboli degli altri umanisti che le descrivono, opere
di Filarete, Pisanello, Beato Angelico e Benozzo Gozzoli che ne traggono
ispirazione, pezzi delle prime collezioni antiquarie, per terminare
con i pochi disegni che permettono di illustrare le principali realizzazioni
del tempo, il nuovo San Pietro di Nicolò V e il palazzo Venezia
di Paolo II. Credo che, a prescindere dai risultati che lascio ad altri
giudicare, il confronto fra vari materiali e diverse competenze sia
la strada più fruttuosa da percorrere in una mostra di architettura
che non voglia rinunciare ai necessari, più ampi riferimenti
storici né alla doverosa comunicazione di tale complessità al
più vasto pubblico possibile.

Leon Battista Alberti, Autoritratto (?) ,
anni Trenta del ‘400, placchetta
bronzea, Paris, Bibliothèque Nationale de France
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