Maria Alessandra Bilotta Le mostre alla Biblioteca Apostolica VaticanaIntervista a Giovanni Morello, Presidente della Fondazione per i Beni e le attività artistiche della Chiesa.
Numerosissime mostre curate, decine di studi pubblicati, una costante ricerca del meglio nella scelta dei temi, nell'allestimento espositivo, nella qualità dei testi dei cataloghi. Questo il bilancio dell'attività di Giovanni Morello, oggi Presidente della Fondazione per i beni e le attività artistiche della Chiesa, quale direttore dell'Ufficio mostre della Biblioteca Apostolica Vaticana: lo abbiamo incontrato ed egli con passione ed entusiasmo ha tracciato un sintetico profilo della sua attività nella Biblioteca Vaticana.
Dottor Morello, per molti anni Lei si è occupato dell'organizzazione delle mostre della Biblioteca Apostolica Vaticana, ma come nasce una mostra alla Biblioteca Vaticana? Come viene concepita l'idea di una mostra in questa prestigiosa sede? Da cosa si parte e come si arriva al “prodotto finito”?
Io ho avuto la fortuna di seguire due illustri e grandi studiosi come il prof. Luigi Michelini Tocci e mons. José Ruysschaert, i primi divulgatori, anche ad un pubblico più vasto, dei grandi tesori della Biblioteca Vaticana. Già negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, nel Salone Sistino, l'antica sede della Biblioteca Vaticana, si trovava esposta una scelta di codici importanti lì collocati per dare una sorta di assaggio del grande patrimonio culturale della Biblioteca ai visitatori che, nel loro giro di visita ai Musei Vaticani, passavano anche attraverso il Salone. Alcune mostre della Biblioteca Vaticana sono state organizzate in occasione delle celebrazioni di anniversari, come i centenari di fondazione. Ricordo, ad esempio, il quinto centenario di fondazione della Biblioteca Vaticana, per celebrare il quale vennero organizzate ben due mostre, curate entrambe da Michelini Tocci; una, nel 1950, si rifaceva a quel nucleo iniziale di libri, acquistati per volere di Nicolò V con una parte delle elemosine dell'anno giubilare 1450; l'altra, nel 1975, celebrava il quinto centenario della bolla Ad decorem militantis Ecclesiae , promulgata il 15 giugno 1475, documento fondante che creava la Biblioteca Vaticana come istituzione della Chiesa Romana. La prima di queste esposizioni ebbe come oggetto le miniature del Rinascimento, per la prima volta mostrate al pubblico; la seconda fu una rassegna storica delle nuove più importanti accessioni dei manoscritti della Biblioteca Vaticana. Eventi espositivi sono stati organizzati anche in numerose altre occasioni significative. Una mostra molto importante fu, ad esempio, Il Libro della Bibbia realizzata per l'Anno Internazionale del Libro indetto dall'UNESCO nel 1972; la Biblioteca Vaticana allestì nel Salone Sistino una splendida esposizione dei principali e più autorevoli manoscritti referenti il Vecchio e Nuovo Testamento: una vetrina ed insieme una sintesi della storia dell'evangelizzazione. Trovarono così una sapiente collocazione versioni ebraiche, orientali, latine e greche, dal IV al XV secolo, ciascuna con i testimoni più famosi, a cominciare dal Codex Vaticanus B , uno dei più antichi manoscritti della Bibbia redatti in greco, e dal famoso papiro Bodmer (donato due anni prima a Paolo VI dal suo possessore, il collezionista e bibliofilo svizzero Martin Bodmer), il Bodmer VIII (P 72) , che contiene il testo greco delle due epistole canoniche dell'Apostolo Pietro, fino ad arrivare alla prima edizione membranacea della Bibbia latina, stampata probabilmente fra il 1454 e il 1456 da Gütenberg a Magonza. Più recentemente, sono state organizzate alcune mostre promosse dalla Direzione generale per i beni librari del Ministero dei beni culturali, nella persona del suo Direttore generale, il prof. Francesco Sicilia, d'intesa con la Biblioteca Apostolica Vaticana e l'Abbazia di Montecassino, in preparazione al grande Giubileo del Duemila, per valorizzare il notevole patrimonio librario, stampato e manoscritto, conservato in Italia e in Vaticano. Di questo programma espositivo, significativamente denominato Bimillenario di Cristo fanno parte la mostra Liturgia in figura , allestita al Salone Sistino della Biblioteca Vaticana nell'anno 1995, nella quale sono stati esposti i più celebri e preziosi libri liturgici del Medioevo e del Rinascimento, conservati nella biblioteca dei Papi; e la mostra Vedere i classici , allestita sempre nel Salone Sistino nell'anno 1997, la quale focalizzava assai concretamente il rapporto tra le Lettere e la Fede. Un'iniziativa, quest'ultima, inserita nel ciclo delle manifestazioni tese a determinare il rapporto fra Cristianesimo e mondo classico e a definire come la cultura greco-romana sia stata salvata e trasmessa alla civiltà occidentale grazie all'opera dei monaci amanuensi. L'ultima mostra di cui io mi sono occupato nella Biblioteca Vaticana è quella splendida, organizzata sempre nell'ambito del progetto del Bimillenario di Cristo e in occasione del grande Giubileo del Duemila, sul tema I Vangeli dei popoli al Palazzo della Cancelleria a Roma nell'anno Duemila. In quest'ultima esposizione si è voluto ripercorrere la storia, insieme umana e divina, della primitiva diffusione del Cristianesimo, dal punto di vista particolare della propagazione del libro dei Vangeli fra i popoli e le culture dell'Antichità fino alle soglie dell'età moderna. Vennero riuniti per la prima volta alcuni fra i più antichi manoscritti dei Vangeli, non solo della Biblioteca Vaticana ma anche di altre Biblioteche italiane ed europee, come il papiro Chester Beatty 1 , della Chester Beatty Library di Dublino, risalente alla fine del III secolo, e alcuni preziosi esemplari di manoscritti purpurei quali il frammento vaticano del Codice N ed il Codex Sinopensis della Bibliothèque Nationale di Parigi. È una tradizione antichissima della Biblioteca Vaticana quella di far vedere, di mostrare, di esporre il materiale in essa custodito; potrei dire che questa consuetudine risale quasi ai tempi della sua fondazione. Ricordo, a tal proposito, la testimonianza di Michel de Montaigne che, alla fine del Cinquecento, racconta delle sue visite alla Biblioteca Vaticana nel suo Diario del viaggio in Italia . Egli descrive minuziosamente queste visite e prende nota di tutti i codici che gli vengono mostrati. Tra l'altro, in una mostra che ho curato a Parigi, ho esposto quasi tutti i codici citati da Montaigne, almeno quelli che sono riuscito ad identificare. Negli antichi inventari manoscritti che si trovano nella sala di consultazione della Biblioteca Vaticana si legge spesso una nota a margine con scritto “si mostra”, accanto alle segnature dei manoscritti: era una sorta di indicazione di quali erano i codici più interessanti che venivano mostrati ai visitatori. Spesso ci sono delle perplessità sulle mostre; bisogna dire, invece, che questo senso di far vedere, di mostrare, di aprire va apprezzato e va considerato. Ovviamente è chiaro che le mostre devono essere organizzate tenendo presenti tutti i criteri della conservazione e della salvaguardia, tuttavia aprire ad un numero sempre maggiore di utenti questo enorme patrimonio è utile e dovrei dire che è anche socialmente necessario proprio per evitare che la cultura resti confinata in caste sempre più ristrette.
Mi collego a questa sua ultima affermazione: quindi le mostre hanno la finalità di far conoscere questo prezioso materiale anche a persone non addette ai lavori, ad un pubblico un po' più vasto?
Sì, un pubblico un po' più vasto che certamente sarà attratto dall'aspetto più appariscente, dall'aspetto spettacolare delle miniature, dai colori, dalle immagini. Tuttavia l'occasione della mostra permette non solo una rivisitazione del materiale di cui si tratta, ma soprattutto permette di portare nuovi contributi alla conoscenza perché le schede di catalogo, quando sono redatte seriamente, con criterio scientifico, presentano sempre apporti nuovi. Anche i manoscritti più conosciuti e più studiati, spesso proprio in occasione delle mostre, presentano qualche aspetto di novità e di curiosità.
Le mostre dunque hanno anche un valore didattico. Pensa che sia utile inserire dei pannelli esplicativi lungo il percorso espositivo, degli strumenti che aiutino la comprensione anche per i giovani, per gli studenti?
È assolutamente necessario. Qualche volta chi organizza una mostra la organizza per i suoi amici, in qualche caso anche per i suoi nemici, e quindi la vede in relazione ad un gruppo ristretto, con dei termini un po' criptici. Invece bisognerebbe, e questo è un tentativo che noi facciamo da un po' di tempo a questa parte, semplificare il discorso che la mostra porta avanti e fare anche delle didascalie di spiegazione delle opere che non si limitino solo a dare i termini tecnici del manufatto, ma rechino anche una sorta di spiegazione o di approfondimento dell'opera presentata. Ciò funziona anche meglio per le mostre di pittura, delle quali io mi occupo al Braccio di Carlo Magno, un altro luogo deputato per le esposizioni dalla Santa Sede.
Quindi anche un materiale che potrebbe sembrare così particolare come i manoscritti può arrivare al grande pubblico?
Sì, può arrivare al grande pubblico anche perché ogni libro ha una sua storia, quindi spesso è legato a personaggi famosi o a qualche episodio particolarmente significativo; offrire, dunque, questa serie di informazioni al visitatore aiuta anche a fargli capire che non si tratta di oggetti morti e abbandonati in qualche deposito museale ma di oggetti che hanno avuto una loro vita e continuano ad averla. Il precedente Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, padre Leonard Boyle, purtroppo scomparso, diceva che il libro deve vivere e deve continuare a vivere.
Ci sono sempre dibattiti relativi alla conservazione: si afferma spesso che l'esposizione in mostra così come lo studio diretto del manoscritto può portare danni. Se la mostra è fatta secondo dei criteri scientifici ottimali non si corrono dunque pericoli di tipo conservativo?
Avendo vissuto per molti anni in una biblioteca importante come quella Vaticana, posso affermare che quando l'approccio al codice è fatto con serietà e seguendo le norme di conservazione che dai secoli ci sono tramandate, e senza un disinvolto utilizzo di sostanze chimiche che potrebbero provocare qualche danno futuro, non dovrebbero esserci grandi problemi. D'altra parte il libro esiste per essere letto: se viene nascosto o sottratto alla lettura è una cosa inutile.
Questo sicuramente; purtroppo oggi ci sono alcune scuole di pensiero secondo le quali il manoscritto dovrebbe essere preservato e non dovrebbe essere più visto…
Sì, esistono delle “liturgie” che diventano veramente incredibili. Ricordo una volta quando andai a New York, alla Pierpont Morgan Library, per vedere le Ore Farnese e restai veramente impressionato perché mi portarono il codice su un cuscino di velluto e con due funzionari che, uno da una parte, uno dall'altra, mi sfogliavano le pagine ogni volta che io dicevo di andare avanti o indietro. In questo modo l'oggetto codice diventa una specie di reliquia laica. Le norme di consultazione della Biblioteca Vaticana, anche se sono molto rigorose e a volte possono essere considerate restrittive, aiutano tuttavia alla consultazione e contribuiscono a fare sì che il manoscritto torni disponibile anche per gli studiosi successivi. Per esempio, aver eliminato dalla sala di consultazione dei manoscritti l'uso penna a sfera a beneficio della matita è stata una cosa molto importante: ricordo anche insigni studiosi che per inavvertenza lasciavano sulla pergamena segni con la biro, spesso del tutto indelebili, a differenza della grafite. Molti, inoltre, ritengono utile far consultare i microfilm e lasciare i codici nei depositi; secondo me lo studioso, ovviamente non il curioso, deve avere a disposizione l'originale perché solo così riesce a cogliere tutta una serie di indicazioni che il microfilm non riesce assolutamente a dare.
Dal punto di vista proprio dell'allestimento della mostra vi avvalete di architetti o comunque di persone specializzate che riescono a rendere fruibile il codice in ogni suo aspetto, mostrandone, ad esempio, anche la legatura?
Dipende molto dal materiale che si ha a disposizione. Nel Salone Sistino della Biblioteca c'erano, ad esempio, delle vetrine che erano state studiate per la mostra del 1950 sulle miniature del Rinascimento; queste vetrine permettevano di vedere molto bene i manoscritti perché non erano squadrate e offrivano una visione totale e completa dell'esemplare. Per l'allestimento ci siamo sempre avvalsi del personale della Biblioteca stessa, in particolare del personale del Laboratorio di restauro: tutte persone estremamente sensibili al problema della conservazione del manoscritto. Abbiamo sempre impiegato, per presentare i manoscritti, appoggi morbidi, con supporti non rigidi, di gommapiuma rivestita di velluto o di stoffa. Attualmente vanno molto di moda, soprattutto in Francia e in Inghilterra, leggìi in plexiglas che presentano il manoscritto non completamente aperto: se ciò aiuta il manoscritto a non subire molte tensioni sulla legatura, d'altra parte è un sistema molto innaturale, perché il manoscritto o è chiuso o è aperto. Specialmente per i manoscritti miniati questo espediente crea qualche problema di fruizione, anche se bisogna sempre conciliare la conservazione con l'esposizione. Per l'esposizione di materiale librario cartaceo e membranaceo sono due le condizioni imprescindibili: gli spazi espositivi non devono essere né umidi né troppo luminosi. Esistono, anche per le mostre di manoscritti, parametri internazionali che stabiliscono i limiti di intensità luminosa consentita e del tasso di umidità.
Rispetto ai metodi espositivi di altri paesi ci sono delle differenze? Voi avete delle differenze nei criteri espositivi rispetto a quelli che vengono usati all'estero oppure più o meno si segue ormai una linea comune?
C'è più o meno un allineamento comune. Ogni istituzione guarda l'altra e scopre delle cose interessanti, nuove che diventano uniformi per tutti, a volte senza volerlo. Si forma così una sorta di koiné nei criteri espositivi. La Biblioteca Vaticana è uno degli organismi che viene più degli altri sollecitato a prestare manoscritti in mostre in giro per il mondo; quando ciò avviene le opere sono sempre accompagnate da un dipendente della Biblioteca e questo fornisce l'occasione di avere rapporti con gli altri colleghi, di vedere come i codici vengono esposti in altre istituzioni.
C'è anche quindi l'aspetto del prestito: voi dunque siete abbastanza favorevoli al prestito dei manoscritti per le esposizioni?
Sì, anche se naturalmente ci sono delle norme ben precise da seguire. La Biblioteca Vaticana ha un regolamento ferreo; bisogna richiedere il prestito sei mesi prima dell'apertura della mostra, bisogna presentare un progetto scientifico che spieghi il motivo per cui viene chiesto questo manoscritto, anche perché i codici della Vaticana sono un motivo di richiamo per i visitatori. Si deve dare indicazione precisa e descrizione del luogo dell'esposizione, per assicurarsi che rientri nei parametri indicati di luce e umidità, si devono stipulare assicurazioni e così via.
In genere gli altri enti sono propensi a prestare quando voi organizzate un evento espositivo oppure s'incontrano delle difficoltà? Personalmente ho trovato sempre una grande apertura. Devo dire che abbiamo ottenuto sempre prestiti di notevole importanza, sia per quanto riguarda i codici da esporre nelle mostre della Biblioteca Vaticana, sia per le opere d'arte figurativa, destinate al Braccio di Carlo Magno. Nell'ultima mostra organizzata al Braccio di Carlo Magno sull'Immacolata Concezione sono arrivati, per esempio, anche dei capolavori di Caravaggio.
Ci sono dei progetti futuri, qualche mostra in fieri?
Al Braccio di Carlo Magno c'è un progetto interessante perché nel 2006 ricorre il quinto centenario della fondazione della Guardia Svizzera ed è l'anno in cui Giulio II pose la prima pietra nel nuovo San Pietro con Bramante; c'è poi un progetto sulla figura di Galileo.
Le mostre sono dunque un'attività che viene organizzata sempre con maggior frequenza e quindi gradita al pubblico perché oltre agli specialisti, agli storici dell'arte, ci sono anche persone che per curiosità si avvicinano all'opera d'arte…
Il Braccio di Carlo Magno, essendo su piazza San Pietro, attira molto, tra gli altri, l'attenzione dei pellegrini. Ed una delle caratteristiche delle esposizioni al Braccio di Carlo Magno è quella di una sorta riappropriazione dell'arte religiosa: si presentano i capolavori del Rinascimento, o del Barocco, non soltanto, come si è spesso fatto negli ultimi tempi, come meri prodotti estetici ma anche come opere nate proprio dalla sensibilità religiosa del committente a beneficio dei fedeli.
Un altro aspetto è quello del catalogo. Anche su questo punto ci sono varie discussioni sul fatto che i cataloghi sono spesso troppo grandi, troppo difficili, troppo ricchi; per chi visita una mostra però sono anche necessari…
Certamente il catalogo ha assunto una fisionomia un po' diversa da quella originaria. Il catalogo era nato per essere uno strumento in mano del visitatore che lo poteva consultare nel corso della visita. Adesso, avendo assunto dimensioni notevoli, diventano veri e propri strumenti di lavoro da utilizzare successivamente alla mostra. C'è stata un'evoluzione notevole nell'aspetto del catalogo; mi è capitato di trovare negli scaffali della Biblioteca Vaticana un cataloghino in sedicesimo di una mostra eccezionale. Si tratta di una mostra organizzata nel 1944 a Palazzo Venezia, dopo l'ingresso degli Alleati a Roma, perché in Vaticano erano state nascoste e conservate moltissime delle opere d'arte dei musei italiani. Il cataloghino recava le sole indicazioni delle opere, ed era pensato per essere letto nelle sale durante la visita. Adesso ci sono cataloghi anche in due, tre volumi, come quello, per esempio, in tre volumi di una mostra che si è svolta a Colonia intitolata Ornamenta Ecclesiae , una sorta di monumento per gli studiosi del Medioevo artistico. Accanto a questo, tuttavia, anche una guida breve per i visitatori comuni sarebbe stata utile.
Un'ultima domanda: ci sono delle persone così estremiste da dire che le mostre sono qualcosa che si potrebbe anche non fare… Lei ovviamente non è d'accordo con loro?
Spesso c'è una sorta d'atteggiamento snobistico da parte di alcuni studiosi, anche insigni, che ritengono appunto che certi luoghi, certi ambienti, certi materiali debbano essere riservati a illuminati personaggi. Ormai si sta affermando sempre più la tendenza alla divulgazione culturale, per cui sarebbe molto difficile chiudere le porte. È chiaro che non si devono fare le mostre fini a se stesse, che non bisogna organizzare le mostre come mezzo di guadagno, anche se, a mia conoscenza, non credo che ci si arricchisca con l'organizzazione di mostre. Infine, il fatto che la gente vada più frequente alle mostre che non nei musei è un fatto che dovrebbe far riflettere.
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