Caravaggio a Milano…attraverso l'Europa .
di Valentina Catalucci
Del nutrito elenco delle esposizioni dedicate a Caravaggio negli ultimi
anni e delle polemiche di cui sono state oggetto, fa parte, da ultima,
in Italia, la mostra che si è tenuta nella sede milanese di
Palazzo Reale dal 15 ottobre 2005 al 6 febbraio 2006 ( Caravaggio
e l'Europa. Il movimento caravaggesco internazionale da Caravaggio
a Mattia Preti ), dedicata alla formazione del movimento artistico
di nascita spontanea che a seguito della produzione del grande Lombardo
si irradiò da Roma ad opera di artisti italiani e stranieri
nel resto della Penisola e in Europa. L'esposizione – promossa dal
Comitato Nazionale per le celebrazioni del terzo centenario della morte
di Mattia Preti, presieduto da Vittorio Sgarbi e coordinata da Gilberto
Algranti – è stata volutamente concepita come evoluzione della
celeberrima mostra dedicata a Caravaggio ad opera di Roberto Longhi
nel 1951 nella stessa prestigiosa sede di Palazzo Reale; in questa
il ruolo di protagonista del Merisi lasciava aperte, come spunti di
una ricerca futura, le conseguenze che l'opera del grande pittore ebbe
sugli artisti che direttamente lo conobbero (come il più anziano
Orazio Gentileschi) e che lo seguirono cronologicamente, comprendendo
a diversi gradi di profondità la rivoluzionaria portata della
sua pittura. Per dare un giudizio obiettivo sulla mostra conclusasi
da pochi mesi è necessario tentare di superare il senso di saturazione
cui si è pur giustamente arrivati con la dilagante “caravaggiomania” degli
ultimi anni, che ha visto un intenso battage anche a Milano
sulla presenza del Merisi e che ha effettivamente deluso quanti hanno
visitato l'esposizione, nella speranza di osservare complessivamente
l'oeuvre del pittore (erano presenti solamente otto opere delle undici
previste, con una defezione dell'ultimo minuto costituita dalla Cena
in Emmaus di Brera e con il riuscito ma sofferto prestito del Seppellimento
di Santa Lucia , nello scorso autunno in restauro all'ICR di Roma).
Infatti per la prima volta si è dedicato uno spazio così ampio
al fenomeno del “caravaggismo”, con confronti serrati e attenti alle
declinazioni geografiche e cronologiche della maniera stilistica e
iconografica, nata sull'esempio dell'artista lombardo, che, come è noto,
non ebbe né una vera e propria bottega né una “schola” da
lui intenzionalmente istituita. Oltre la prima sala dedicata alle opere
del Merisi, il percorso si snodava cronologicamente lungo tre generazioni
di caravaggisti: si cominciava con i nomi della prima ora come Orazio
Gentileschi – con la raffinatissima, ma non molto “caravaggesca”, Santa
Cecilia che suona la spinetta -, Orazio Borgianni, presente,
tra le varie opere, con l'intima ed elegante Sacra Conversazione di
Palazzo Barberini, Antiveduto Grammatica, Artemisia Gentileschi, lo
Spadarino e altri, alcuni dei quali ben noti all'appassionato di Caravaggio
e della “maniera caravaggesca”. Il vellutato caravaggismo di Carlo
Saraceni e i modi sanguigni ma calibrati di Tanzio da Varallo lasciavano
il passo a una sorta di “mostra nella mostra”, forse l'aspetto più interessante
dell'esposizione milanese, dedicata a Jusepe de Ribera, il grande pittore
spagnolo presente con numerose opere del periodo romano sottratte da
Gianni Papi all'anonimato del “Maestro del Giudizio di Salomone”, il
cui corpus era stato ricostruito da Longhi, e riattribuite convincentemente
all'artista iberico, presente a Roma probabilmente sin dal 1611-12.
Con Bartolomeo Manfredi e la manfrediana methodus si poteva
avere un'idea del dilagante fenomeno delle “imitazioni” caravaggesche,
testimoniato dalle fonti coeve, in cui, essendo ben lontana l'intelligenza
del messaggio morale e umano del Merisi, le iconografie, la drammatizzazione
di maniera della luce, i fondi oscuri e il l'affettata intensità emotiva
vogliono essere più caravaggesche di Caravaggio; d'altra parte
la “folla” dei seguaci francesi del Lombardo raggiunge effetti carezzevoli
di un realismo decantato e scevro delle crudezze dell'appassionata
rappresentazione della realtà del Merisi, trovando però grandissimi
interpreti in Simon Vouet (tra le altre opere, la Buona Ventura )
e in Valentin de Boulogne (il Giudizio di Salomone ). Oltre
alla presenza di personalità meno note al grande pubblico, ma
utili per l'approfondimento scientifico per gli studiosi come il francese
Trophime Bigot, la mostra proseguiva con due sezioni dedicate ai pittori
olandesi e fiamminghi e al caravaggismo napoletano: tra i primi, Dirck
van Baburen stemperava la “terribilità” caravaggesca in cromie
meno compatte, calate in ambienti dalla luce chiarificata e lontana
dalla drammatizzazione di Caravaggio, così come effettuava Henrdick
ter Brugghen che predilige composizioni compatte ed essenziali ( Vocazione
di San Matteo ). Inoltre Gerrit van Honthorst, in Italia celebre
come “Gherardo delle notti”, declinava la teatralità del lume
del Merisi in una versione più intimistica (si pensi al celebre Concerto
notturno ), sfruttando fonti di luce interne al dipinto, nascoste
da oggetti che creano effetti di controluce (candele, bracieri). Per
quanto riguarda l'ambito del caravaggismo napoletano, infine, Giovanni
Battista Caracciolo, detto il Battistello è il più vicino
alla “pura” lezione caravaggesca tra i suoi colleghi partenopei.
La mostra si chiudeva con due sezioni che illustravano la seconda
generazione dei caravaggisti, che culminava nella pittura sfrangiata
e calda di Giovanni Serodine ( Ritratto del padre ), affiancato
da altri pittori come Manetti, Riminaldi e Cavarozzi. La parte finale
riuniva le prime opere di Mattia Preti, che, ormai nel secolo avanzato,
si accosta al caravaggismo come scelta ponderata, in virtù della
complessità della sua cultura che Giuliano Briganti nel 1951
definì da “spaesato”. Ecco, per apprezzare questa mostra, è stato
necessario lasciar scorrere sotto il proprio sguardo queste personalità diverse
(anche nella qualità), oltrepassando il “miraggio” della produzione
del Merisi della prima sala, che in questo caso doveva fare da grande
incunabolo all'illustrazione del fenomeno storico del caravaggismo,
sfaccettato nelle varianti europee, cui era dedicata la mostra e che
deve esserne considerato la maggiore novità.
La visione delle opere era favorita sia dal colore rosso scuro delle
pareti su cui risaltava bene il “buio” delle scene “caravaggesche” sia
da un apparato esplicativo ridotto, che lasciava libero il visitatore
di respirare un po', considerando che una delle critiche che si possono
rivolgere alla mostra è stato forse l'eccessivo affollamento
di opere e personalità differenti. Inoltre – crediamo - sarebbe
stato più innovativo non lasciar campeggiare il nome del Merisi
nel titolo dell'esposizione, ma dichiarare più esplicitamente
la centralità del “post-Caravaggio” per sottolineare che non
ci si doveva aspettare il solito evento mediatico stretto intorno a
un grande nome. Riprova di questo, l'interessante sezione, curata da
Gianni Papi, che si trovava al piano terreno di Palazzo Reale con una
quarantina di opere di artisti anonimi, che servono il destro per indagini
future. Problemi di carattere tecnico, come la negazione del prestito
di alcune opere per una seconda sede della mostra presso il Lichtestein
Museum di Vienna, hanno portato alla cancellazione della stessa in
Austria, alimentando ulteriori polemiche su un evento che, seppur non
perfetto, ha avuto il merito di dedicare spazio ad un fenomeno che
deve essere pensato come la prima corrente artistica del XVII secolo.
La seconda sede internazionale della rassegna sarebbe dovuta essere
Vienna, Lichtestein Museum dal 5 marzo al 9 luglio 2006.
Il catalogo della mostra Caravaggio e l'Europa. Il movimento caravaggesco
internazionale da Caravaggio a Mattia Preti è pubblicato
da Skira.
Jusepe de Ribera, Mendicante, olio su tela, Roma, Galleria
Borghese

Gerrit van Honthorst, detto Gherardo
delle Notti, Concerto
notturno, olio su tela, Dublino, National Gallery of
Ireland
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